Summer School Ischia 2016 – Una buona scuola che funzioni (Atti)
Da ormai molti anni la Summer School di Ischia è un’occasione per riflettere sui temi caldi della scuola, analizzandoli da molteplici punti di vista e facendo dialogare il mondo della ricerca, le esperienze professionali, le decisioni della politica. Una sintesi sui lavori del convegno, a cura di Mariella Spinosi.
Il preambolo ischitano
L’appuntamento di Ischia, che si ripete da almeno 15 anni, è stato sempre una occasione per riflettere sui temi caldi della scuola; per costruire un lessico condiviso facendo dialogare il mondo della ricerca, le esperienze professionali, le decisioni della politica; per capire in anticipo le tendenze; per prepararsi a rispondere con adeguatezza professionale ai problemi che dovranno essere affrontati dopo la pausa estiva.
Tutti i partecipanti, la maggior parte affezionati all’evento estivo organizzato dalla casa editrice di “Notizie della scuola”, sanno che possono dialogare con relatori esperti e competenti, con decisori politici e sindacali, con protagonisti o testimoni attenti dei principali processi della scuola.
Ogni anno si affrontano le questioni più attuali scandite in quattro sessioni di lavoro ed analizzate da più punti di vista: giuridico, amministrativo, gestionale, politico, sindacale, culturale, ma anche pedagogico e didattico. Lo stile comunicativo è quello che, usando le parole di Bruner, possiamo definire come “arte della cortesia del dialogo”: non si rinuncia alle proprie posizioni, ma si privilegia l’ascolto per aggiustare o rafforzare o perfezionare le proprie idee, sempre arricchite dal contributo degli altri.
L’incipit della summer school 2016 è il nuovo scenario normativo, come dire: “la 107 un anno dopo”. Le sessioni che seguono affrontano i temi della professionalità, della valutazione, dell’ambiente di apprendimento e del digitale.
Prima sessione: “Innovazioni in corso e prospettive per la scuola”
Dopo una accurata presentazione del seminario a cura di Mario Guglietti, si entra nel merito delle innovazioni giuridico-normative e dei possibili scenari che tali innovazioni fanno immaginare per la scuola futura. Francesco Scrima, attuale presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI), coordina la sessione che vede protagonisti Sergio Auriemma, Vice procuratore Generale Corte dei Conti, e Simona Malpezzi, Deputato e membro della Commissione Cultura, cioè un confronto tra la visione di un accreditato giurista e il pensiero di una responsabile di un partito di governo.
Oggetto di particolare cura sono le deleghe con le quali si apre la seconda fase dell'attuazione della legge 107/2015, in particolar modo quelle che attengono al sistema 0-6, alla valutazione e alla formazione iniziale. La Malpezzi disegna lo stato dell’arte senza omettere le difficoltà non ancora superate, sia quelle connesse alla natura del problema, sia quelle derivanti dalle diverse visioni politiche e culturali.
Dopo un acceso e appassionato dibattito, Sergio Auriemma riporta i termini delle questioni sul piano giuridico mettendo in rilievo i livelli di coerenza tra obiettivi e processi, i difficili margini per una possibile condivisione, sottolineando che la scuola appartiene a tutti: c’è un apparato amministrativo, c’è un’attenzione sociale, ci sono spinte culturali, ci sono soprattutto interessi, non sempre coincidenti, di più soggetti (il cittadino a più dimensioni). Mette, comunque, in evidenza alcuni risultati positivi sulla svolta finanziaria post-Gelmini, rilevati dalla Corte dei Conti, senza tralasciare qualche punto di criticità bisognoso di ulteriori chiarimenti.
Seconda sessione: “Professionalità: rimettersi in gioco”
La seconda sessione di lavoro è articolata su due “tavoli”: il primo a carattere culturale, vede come protagonisti Mario Dutto, Presidente Iprase ed esperto di levatura internazionale, e Giancarlo Cerini, Dirigente tecnico nonché noto “opinionista” delle politiche scolastiche; il secondo, a carattere politico sindacale, offre un proficuo confronto tra Davide Faraone, sottosegretario del MIUR e Lena Gissi, segretario generale Cisl Scuola.
Mariella Spinosi, che coordina la sessione, presentando l’intervento di Mario Dutto, pone alcune domande su cosa significhi far funzionare le scuole e come possa essere misurata l’influenza dei dirigenti, degli insegnanti o di una buona legge; ma anche cosa significa una leadership che serva a migliorare gli apprendimenti degli studenti; chiede contestualmente al relatore indicazioni per aiutare tutti i docenti a diventare artefici delle proprie mete professionali.
L’intervento di Mario Dutto è articolato su sei punti: come si entra nella professione; quali sono le difficoltà; quali invece le condizioni che possono favorirla; le zone d’ombra; le radici; i problemi legati alle carriere. Sulla base di dati e ricerche nazionali ed internazionali, il relatore mette a nudo i problemi non ancora risolti, ma con uno sguardo “lungo” e positivo verso possibili soluzioni. Indica piste di lavoro e strategie di sistema
A Giancarlo Cerini viene chiesto cosa sta succedendo nelle scuole a proposito di merito e premialità; se la legge 107/2015 sta veicolando innovazioni autentiche, ma anche cosa fare perché la comunità scolastica possa fruire di un vero capitale professionale. Partendo dall’idea di merito secondo l’accezione costituzionale Cerini pone la questione del rapporto tra competizione e collaborazione esplorando aree non ancora risolte come lo stato giuridico e le carriere, gli standard professionali, le figure di middle management; entra nel merito delle indicazioni del comma 129 della legge 107/2015 e suggerisce soluzioni per far crescere l’intera comunità professionale.
Il tavolo politico sindacale si apre con una ricognizione giuridico contrattuale delle professionalità negli ultimi 20 anni: dall’autonomia che presuppone professioni diverse ai primi tentativi dei contratti di lavoro (figure di sistema, funzioni obiettivo, strumentali); dai balbettii sugli standard e sui crediti professionali alla situazione attuale in cui sembra permanere una distanza, quasi abissale, tra istanze sindacali e scelte delle politiche di governo. La questione che viene posta ai relatori (Lena Gissi e Davide Faraone) è come riconoscere e come incentivare le professionalità perché una scuola funzioni al meglio.
Le “parti” rivendicano le proprie posizioni.
Il sottosegretario enfatizza la qualità delle scelte di governo ed in particolar modo l’inversione di tendenza relativa agli investimenti sulla scuola (organici, formazione, premialità, alternanza…). Osserva che la cosiddetta Buona Scuola è il primo passo di un cammino di innovazione che rivoluzionerà culturalmente e in profondità il sistema d’istruzione italiano. La legge 107/2015 rilancia, infatti, l’autonomia scolastica attraverso strumenti – risorse professionali ed economiche – che ne consentono una reale attuazione nella vita di tutti i giorni.
Il sindacato sottolinea, invece, la mancanza di dialogo con la scuola reale, evidenzia le ricadute negative sugli utenti delle scelte politiche: il caos che ha determinato l’organico potenziato, l’eccessivo liberismo della formazione docente, l’approccio divisivo alla valorizzazione del merito.
Il dibattito si incentra e si infiamma soprattutto sul tema della cosiddetta “chiamata diretta”, considerando che il dialogo tra governo e parti sociali è stato appena interrotto.
Lena Gissi rimarca che la via che si sta scegliendo manca di oggettività, di imparzialità e di trasparenza. Sono questi – dice – requisiti indispensabili per la gestione efficace e corretta di adempimenti amministrativi di indubbia delicatezza, al punto che l’ANAC nelle sue linee guida li inserisce nell’elenco dei processi a maggior rischio corruttivo per le istituzioni scolastiche. Denota anche uno scarso rispetto per la scuola e per chi ci lavora, scaricando sui dirigenti scolastici la gestione di pesanti adempimenti in un quadro di regole incerte e non definite in sede pattizia.
Davide Faraone ribadisce invece che si tratta di una “chiamata per competenze”, che riguarda il personale già di ruolo, che le competenze di tali insegnanti sono già state individuate nel piano triennale e che i docenti non sono scelti perché piacciono al preside, ma perché hanno caratteristiche professionali adeguate all'offerta formativa della propria scuola. Il sottosegretario, tuttavia, pur rivendicando la responsabilità delle scelte politiche, non chiude a possibili e futuri riorientamenti.
Terza sessione – Valutazione: le scuole, le persone, gli apprendimenti
La terza sessione è coordinata da Giancarlo Cerini che “interroga” la presidente dell’INVALSI (Annamaria Ajello), il responsabile dell’ufficio IX del MIUR (Damiano Previtali) e il dirigente tecnico dell’USR della Campania (Paola Di Natale). La valutazione – si interroga Cerini – è la terra promessa del miglioramento o è solo voglia di controllo e di comando? Le rilevazioni internazionali ci mostrano vizi, virtù e pigrizie del sistema italiano. Ci sono, sicuramente, zone d’ombra da illuminare, garanzie istituzionali da salvaguardare, informazioni affidabili da utilizzare. Ma la valutazione è una condizione ineludibile per influire sull’apprendimento dei ragazzi? Il coordinatore pone, inoltre, il problema dell’uso dei dati e dei relativi rischi, ma anche della stessa tenuta del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV).
Annamaria Ajello, alla domanda Quale valutazione serve alla nostra scuola ed al nostro “Paese”, avvia il suo ragionamento mettendo in luce che l’INVALSI sta raccogliendo ora i frutti di un lavoro prezioso fatto da tutti coloro che l’hanno preceduta negli anni passati. Ci sono stati processi lenti e condivisi. Il sistema di valutazione non deve essere considerato come mero adempimento, ma come strumento per migliorare la qualità degli esiti degli studenti. Il format del RAV, con i 49 indicatori, non nasce a caso, ma è il frutto delle precedenti ricerche. Le Prove invalsi non sono finalizzate a rilevare la semplice memorizzazione delle informazione e la mera applicazione di procedure, vogliono entrare nel merito dell’elaborazione cognitiva dei saperi e della costruzione personale di strategie; vogliono accertare le competenze fondamentali e non le conoscenze inerti o incapsulate. Le prove INVALSI presuppongono però un cambiamento reale della didattica e una professionalità matura.
Damiano Previtali, Dirigente Miur, offre una panoramica ampia sulla nuova direttiva e sulle future linee guida relative alla valutazione del dirigente scolastico. Ricorda che il modello attuale è costruito su esperienze ventennali e che si attualizza nel momento di massima difficoltà per i Dirigenti scolastici. Osserva, però, che la valutazione della dirigenza scolastica è finalizzata sia al miglioramento della professionalità dei Dirigenti sia a quello delle Istituzioni scolastiche. Essa deve essere coerente con il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV); deve collocarsi all’interno del quadro di riferimento degli obiettivi della scuola (RAV), di quelli regionali e degli obiettivi strategici nazionali. La metodologia adottata intende inserirsi in modo leggero all’interno del lavoro svolto quotidianamente, senza pretendere nuove e particolari documentazioni che andrebbero ad appesantire ulteriormente il lavoro del Dirigente, ed ha l’obiettivo di valorizzare al meglio gli strumenti o i documenti già in uso. Il punto di partenza è l’autovalutazione del dirigente; il punto di arrivo è il riscontro annuale sugli obiettivi di processo realizzati e gli obiettivi di risultato raggiunti (cioè il contributo del dirigente al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico previsti nel rapporto di autovalutazione).
La richiesta alla dirigente tecnica Paola di Natale è quella di fare il punto sullo stato dell’arte del RAV, in maniera particolare sui piani di miglioramento. Gli effetti positivi del RAV – sostiene la relatrice – ci sono. Per esempio: l’ampliamento del numero di reti di scuole, l’intensificazione di relazioni con il territorio, la messa in discussione di pratiche routinarie, l’aggiornamento professionale più mirato, il miglioramento del flusso comunicativo, il rafforzamento del senso di appartenenza e di responsabilità. Non si possono però tralasciare alcune criticità: le difficoltà a definire traguardi in forma osservabile e misurabile, la scarsa congruenza tra priorità ed obiettivi di processo, l’individuazione di obiettivi poco pertinenti o eccessivi, la parziale condivisione del RAV in alcune comunità scolastiche. Ci sono anche nodi da sciogliere, come per esempio la parziale incidenza dei dati di contesto, la poca chiarezza nelle sezioni dedicate alle risorse umane ed economiche; ma anche ridondanze e sovrapposizioni, stereotipie e forzature e rischi sempre in agguato come il tecnicismo e l’autoreferenzialità. La Di Natale illustra anche la situazione in atto relativamente alla valutazione esterna che sta creando effetti positivi (per esempio: la capacità di riflettere, di riconoscersi, di partecipare…) pur con problemi ancora aperti sulla documentazione e sulla valutazione
Quarta sessione – Non solo digitale: costruire l’ambiente di apprendimento
La sessione è moderata da Maria Teresa Stancarone che introduce i lavori evidenziando come il passaggio da una didattica trasmissiva ad una attiva, flessibile e aperta, richieda competenze nuove, ma anche capacità di progettazione innovativa ed analisi di sostenibilità. Il Piano Nazionale Scuola Digitale non va considerato come la sintesi innovativa più efficace, ma piuttosto come un invito a comprendere cosa voglia dire educare nell’era digitale. La costruzione di ambienti di apprendimento innovativi, infatti, realizza pienamente la spinta al miglioramento delle pratiche organizzative e didattiche impressa dai più recenti interventi normativi nel campo dell'istruzione, contribuendo a creare una identità strategica delle scuole che necessita, con responsabilità ed urgenza, di competenze e formazione specifica.
Daniele Barca, Dirigente Ufficio VI Miur, invitato a riflettere “tra le righe del piano digitale”, illustra il PNSD riepilogandone le azioni: lanciato il 27 ottobre 2015, allo stato attuale sono partite 19 azioni sulle 35 previste e sono già stati stanziati 350 milioni di euro. Le 35 azioni sono articolate in 9 tipologie. La prima riguarda “l’accesso”, ed è la condizione di partenza. Prevede la possibilità per ogni scuola di poter fruire della fibra a banda larga, del cablaggio e dei canoni di connettività; la seconda “Spazi ed ambienti” riguarda la costruzione di “spazi digitali per la didattica”, “challange prize”, le linee guida per il “Byod” nonché i diversi piani per l’apprendimento. C’è inoltre l’area che riguarda l’identità digitale, vale a dire il sistema di autenticazione e i profili digitali (per lo studente e per il docente). L’area dell’amministrazione digitale comprende il registro elettronico, i Big data, la digitalizzazione amministrativa. Cinque azioni riguardano le cosiddette competenze digitali; tre azioni (un curricolo per l’imprenditoria digitale, Girls in Tech & Science, Piano corriere digitale) riguardano l’imprenditorialità e il lavoro; altre si collocano nell’area dei contenuti digitali. Molta importanza è assegnata alla formazione (con 3 azioni) e all’accompagnamento (con 8 azioni).
Roberto Baldascino, uno dei maggiori esperti italiani sulle tecnologie applicate alla didattica, spiega subito la differenza tra classe 2.0 e aula 3.0. Nel primo caso l’enfasi era rivolta all’acquisizione di tecnologie, grazie all’impiego di ingenti finanziamenti indirizzati a pochissime classi nel territorio nazionale. L’insostenibilità economica di tale iniziativa ha reso impossibile qualsiasi riproducibilità e ricaduta su scala più ampia. L’aula 3.0, avviene, invece, in maniera del tutto autoctona e graduale all’interno di un istituto per libera scelta. Si tratta di un processo sostenibile, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista didattico-organizzativo. Per realizzarla, però, ci sono alcune condizioni operative: è necessario che ci sia una integrazione strutturale di diverse tecnologie (presenti in istituto ma anche personali degli studenti); che il docente abbia una grande capacità progettuale e di programmare in sinergia le variabili ambientali, fisiche, tecno-virtuali e cognitivo-emozionali; che gli studenti siano essi stessi protagonisti attivi e responsabili delle diverse forme di apprendimento. Costruire un ambiente integrato di apprendimento significa lavorare su spazi flessibili, pensare al docente come ad un mediatore, un regista, uno scaffolder, riuscire a collegare l’ambiente fisico con l’ambiente virtuale, essere in grado di utilizzare le tecnologie personali degli studenti (BYOD).
Il rapporto tra la costruzione dell’ambiente di apprendimento e l’uso delle didattiche attive viene affrontato da Antonia Carlini, dirigente scolastica e nota formatrice. La relatrice parte dalla storia degli ultimi venti anni, dai laboratori di informatica alla classe 2.0 e al PNSD, e mostra subito gli esiti con i suoi punti di forza e i punti di debolezza. Tra i primi annovera la familiarità che oramai quasi tutti hanno con le TIC, le buone esperienze che si possono diffondere, ma contestualmente fa notare (punti di criticità) che c’è ancora una certa resistenza da superare nei confronti delle TIC e che l’uso della tecnologia nella vita quotidiana è ancora piuttosto limitato. La prospettiva è quella di puntare di più sulle didattiche innovative per sviluppare la consapevolezza di quanto siano importanti le tecnologie per i processi di apprendimento di ciascuno. Fa presente che già nel 1999 Cornoldi aveva messo in guardia gli insegnanti rammentando che gli insuccessi dei ragazzi dipendono molto spesso dall’incompatibilità tra i loro modi di apprendere e le caratteristiche del contesto di apprendimento. Analizza quindi le diverse dimensioni che devono essere curate per costruire un buon contesto: quelle cognitive e relazionali da un lato, quelle didattiche ed organizzative dall’altro. Si tratta quindi di prendersi cura dello studente, di essere attenti ai processi empatici e di non trascurare le loro aspettative, ricordando con Bruner che “la più singolare caratteristica umana è l’attitudine ad apprendere”.
E per concludere
Nella seconda parte della sessione, che conclude la summer school 2016, alcuni relatori portano a sintesi le principali questioni già oggetto di analisi nella tre giorni ischitana. Giancarlo Cerini rilancia le novità della legge 107/2015 relativamente allo sviluppo professionale degli insegnanti annunciando l’avvio del prossimo piano nazionale sulla formazione; Silvana Loiero affronta sia la questione della valutazione degli apprendimenti, riportando all’attenzione alcuni punti fondamentali dei quadri di riferimento INVALSI, sia il tema della valutazione dei dirigenti spiegando perché e come viene utilizzata la grammatica valenziale; Mariella Spinosi riprende il dibattito sul bonus ai docenti mettendo in evidenza i rischi e suggerendo strategie e atteggiamenti affinché tale misura non diventi divisiva e aiuti invece a migliorare l’intera comunità professionale. Maria Teresa Stancarone riaffronta le questioni legate al RAV sottolineando la necessità delle scuole di capire bene cosa significa costruire piani di miglioramento efficaci, cioè misure che servono a far evolvere in maniera significativa gli apprendimenti di tutti gli studenti.
a cura di Mariella Spinosi