Comunità professionale

Marco Orsi (Voci della scuola 2008)

• Apprendimento situato • Confronto • Cooperative learning • Cooperative teaching • Curricolo • Dialogo • Legami • Middle management • Parte­ci­pazione • Spazio politopo • Tempo-scuola • Unitarietà

 

Docenti che dialogano

Se i docenti sanno prendere decisioni insieme, sanno scambiarsi pratiche e partecipare ad aggiornamenti condividendone le risorse, sanno essere un gruppo di ricerca che progetta e connette i saperi, allora formeranno una comunità professionale. Questa comunità renderà il processo di apprendimento-insegnamento assai più efficace e quella scuola di qualità. Tuttavia in Italia benché le scuole siano autonome si pensa che la qualità della formazione sia unicamente imputabile alla bravura del singolo, nonostante la consapevolezza della negatività dell’isolamento in cui oggi si dibattono i docenti medesimi (Wald-Castleberry, 2000; Sergiovanni, 2002).
Abbiamo bisogno di mettere in relazione il cambiamento organizzativo con l’innovazione metodologico-didattica, superando un modo diviso di vedere la scuola: da una parte i dirigenti, gli staff, gli amministrativi, vale a dire le attività back e dall’altra i docenti con gli alunni, l’aula, ovvero le attività front. Occorre, cioè, sviluppare un nuovo pensiero, un approccio globale al curricolo (Orsi, 2006) che integri l’aspetto pedagogico con quello organizzativo. [v. Voce Apprendimento organizzativo]


Il modello meccanico

La scuola dell’insegnante individualista e autosufficiente (Orsi, 2002) assomiglia ad un’organizzazione meccanica di tipo tayloristico (Bonazzi, 2005), mentre la scuola dei docenti che cooperano e dialogano è invece improntata ad un modello-comunità.

La segmentazione del tempo scolastico
Nella logica dell’organizzazione meccanica esiste un tempo-scuola dato, poniamo, settimanale (30-40 ore per classe), diviso in segmenti orari che vengono assegnati dallo Stato (contratto nazionale), con il concorso del dirigente scolastico, ad uno o più docenti per un certo periodo di tempo (normalmente 1 anno). In questa ottica l’insegnante diviene proprietario della classe (infatti parla della mia classe) almeno per quella parte di tempo settimanale pattuito. L’insegnamento si costituisce, in questo quadro, come la giustapposizione di segmenti di tempo. Il prospetto orario attesta il modo con cui le porzioni di tempo sono state collocate. Difficile parlare di comunità professionale. Si verifica solo un incontro tra docenti di natura negoziale per riuscire a spuntare le condizioni migliori di esercizio del tempo di cui si è entrati in possesso (collocazione della propria materia e orario favorevole per il proprio tempo libero).

La frammentazione del sapere
Ma la segmentazione del tempo è la risultante di un disegno organizzativo sostenuto dal modo con cui la scuola, e più in generale il mondo della accademia e della cultura, concepiscono il sapere. Nella logica meccanica il sapere è visto come la collezione di una quantità di discipline tra loro non comunicanti. La preoccupazione fondamentale del pensiero laico e scientifico, agli inizi dell’età moderna, fu quella di affrancarsi dalla religione, di definire nuove aree di ricerca, di stabilire confini ben netti tra discipline, di ampliare gli orizzonti ricercando nuove specializzazioni. Questo sviluppo ha però comportato anche una frammentazione del sapere che induce la scuola a dare importanza alle cosiddette materie intese nella loro separatezza: imparare la matematica, l’italiano, la biologia, la chimica, la storia e così via, senza porsi il problema dei legami, dell’integrazione in un disegno curricolare. Tale contesto suggerisce che in luogo di una comunità professionale si abbia la difesa orgogliosa del carattere fondamentale della propria disciplina, che spesso sfocia nel conflitto tra docenti e tra i saperi specializzati [v. Voce Curricolo e scuola].

L’insegnamento standardizzato e depositario
L’attività standardizzata è rivolta ad un aggregato di studenti riuniti nella forma istituzionale della classe. Non sussistono interrelazioni e scambi significativi tra alunni della medesima classe, tra una classe e un’altra, tra alunni appartenenti ai raggruppamenti di età diverse, se si escludono i tempi della ricreazione ritenuti però neutrali. Il metodo di insegnamento è quello della lezione frontale non sempre oculatamente gestito (Castagna, 2004). Ci si rivolge indistintamente alla platea che si ha di fronte, trattando tutti uniformemente, aspettandosi da ciascuno il medesimo apprendimento, rilevato con le stesse modalità. Essendo prevalente un solo metodo le attività risultano indifferenziate. Ma ciò comporta la svalutazione e l’impoverimento della didattica e conseguentemente vengono meno oggetti fondamentali per quel confronto che dà vita alla comunità professionale.

Lo spazio uniforme
Nella logica meccanica gruppi di studenti vengono suddivisi secondo il criterio burocratico dell’età e inquadrati in classi collocate in piccole aule con banchi disposti in fila gli uni separati dagli altri, di fronte ai quali viene posta la cattedra. Tale spazio uniforme e razionalistico ha la caratteristica di favorire il controllo, la sorveglianza, il disciplinamento dei corpi (Foucault, 2005; Montessori, 2000), l’insegnamento standardizzato e competitivo (Kohn, 2006). Il corpo e gli oggetti perdono di significato e l’insegnamento è tendenzialmente astratto. Alla medesima logica rispondono le “sale dei professori” da considerarsi aree nelle quali ognuno ha un piccolo spazio personale (spesso un armadietto), non certamente luogo di incontro per la comunità dei docenti.

La dipendenza degli alunni
Il modello meccanico crea ed accresce la dipendenza degli alunni, il cui compito principale è quello di ascoltare ed eseguire compiti. Non si ha una partecipazione attiva alla costruzione del sapere e alla gestione della vita scolastica. Le relazioni sono gerarchiche e l’insegnare e l’imparare vengono divisi in modo rigido. Si tratta di una pedagogia depositaria orientata ad azioni di travaso da testa a testa, che rendono «oggetto» da riempire l’educando. “La pratica «depositaria» […] comporta una specie di anestesia, perché inibisce il potere creatore degli educandi” (Freire, 2002).

Le dimensioni di massa e l’assenza di leader
Le grandi dimensioni sono, da sempre, una caratteristica del modello meccanico. Basti pensare ai grandi opifici agli inizi dell’industrializzazione. In Italia si possono avere scuole che riuniscono tra docenti e alunni anche 1600 persone (D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233). Il grande numero è funzionale all’insegnamento standardizzato e depositario che rende impossibile il costituirsi della comunità professionale in presenza di collegi composti da 80 a 150 docenti. Inoltre i problemi sono acuiti dall’assenza di leader. Nelle scuole italiane abbiamo un dirigente e docenti che sono allo stesso livello di carriera. Non esiste un middle management con un ruolo di catalizzatore, di coordinamento e di riferimento per i colleghi e per il dirigente (Benadusi, 2007; Drago, 2007). Entrambi i fenomeni, la grande dimensione e l’assenza di figure intermedie, sono ostacoli per la creazione di comunità professionali.

La rete e la formazione per l’individualismo professionale
Nel modello meccanico ciascun docente partecipa alla formazione per migliorare la propria professionalità in un’ottica di autosufficienza (Orsi, 2002). Prevale, inoltre, l’attenzione ai contenuti disciplinari proprio perché si ritiene poco significativo l’approfondimento di metodi e strategie. Ciascun insegnante vive la formazione come fatto privato, anche perché l’organizzazione scolastica non prevede momenti di condivisione e di diffusione. Lo stesso utilizzo di internet, la partecipazione a comunità virtuali corrisponde semplicemente a bisogni individuali.

La progettualità frantumata e il POF
Nel modello meccanico la progettualità di istituto risulta frantumata. Dal­l’es­terno giungono pressioni sostenute dall’offerta di fondi, affinché la scuola si interessi ad una miriade di proposte, progetti, iniziative, attività. Inoltre c’è una spinta interna in ragione di progetti che rispondono non poche volte agli interessi di singoli insegnanti. “Le scuole stanno combattendo per coordinare una molteplicità di iniziative che sono simultaneamente accatastate l’una sopra l’altra. Ciascuna porta una risposta ad un problema […] ma insieme creano degli staff di docenti travolti dal superlavoro e un’azione educativa rivolta agli studenti potenzialmente frammentata” (Wald-Castleberry, 2000).


Il modello-comunità

L’approccio della comunità di pratiche e dell’apprendimento situato è interessante per iniziare a descrivere il modello-comunità (Lave-Wenger, 2006). In esso si sottolinea che qualsiasi contesto è definito dalle pratiche, vale a dire dalle diverse attività che si realizzano nella scuola (non solo di natura didattica). Da questo punto di vista appaiono significativi anche i filoni che sono riconducibili ai Practice-Based Studies (Bruni-Gherardi, 2007). Le pratiche se documentate, depositate e memorizzate, costituiscono la storia della comunità. I nuovi entrati (docenti, alunni, ma anche bidelli e dirigenti) sono invitati a contestualizzare il loro lavoro (lo studio, l’insegnamento, l’apprendimento, la gestione). Il confronto con la storia, con il patrimonio organizzativo, con le pratiche in essere avviene tanto tramite il racconto dei membri anziani (sia docenti che alunni) quanto attraverso la fruizione dei documenti (Wenger-McDermot-Snyder, 2007). La comunità di pratiche è orientata all’integrazione, alla connessione, alla globalità, alla partecipazione, alla documentazione (Biondi, 2004), all’accoglienza.

La ricomposizione del tempo scolastico
Nel modello comunità i tempi degli studenti sono considerati per organizzare i tempi complessivi della scuola in modo flessibile e modulare. Gli orari settimanali sono un punto di riferimento, ma non un elemento rigido. In certi periodi si possono prevedere tempi più lunghi e distesi per determinati insegnamenti, si possono variare i tempi e le attività in relazione alla personalizzazione dell’insegnamento. Diverse attività (con metodi e obiettivi diversi) si svolgono in contemporanea nella medesima classe, oltre che nella medesima scuola. La comunità professionale si esplicita nella disponibilità a costruire tempi in funzione del curricolo centrato sullo studente e sulla diversificazione delle attività. I docenti sono disponibili a mettere in secondo piano le proprie esigenze personali di tempo.

Il sapere connesso
Il modello comunità si intreccia con l’esigenza di superare la frammentazione disciplinare (M.P.I., 2007). Si possono individuare tre livelli di interdisciplinarietà. Innanzitutto è necessario non pensare il curricolo come una sommatoria di materie, ma come “un insieme integrato di discipline, di modi concorrenti e diversificati di ricostruzione del reale” (Ajello-Pontecorvo, 2002). La varietà delle discipline deve essere riconducibile alle reali dimensioni dell’esperienza e della conoscenza umana senza dare eccessivo peso alle diversità. Un secondo aspetto sottolinea l’ambito metodologico ed in particolare i procedimenti di ricerca e il problem-solving, come capaci di creare le connessioni e l’unitarietà del curricolo. Infine sono da considerare le strutture sintattiche e concettuali per superare i tradizionali confini delle discipline. Il fine è quello di creare un pensiero che unisce, una “testa ben fatta” (Morin, 2000).
Ma la connessione dei saperi, pragmaticamente, è riposta nella disponibilità dei docenti ad incontrarsi (in spazi fisici adeguati), a dialogare coinvolgendo la propria disciplina, a progettare insieme attività: ciò costituisce un presupposto fondamentale per la comunità professionale

L’insegnamento personalizzato e cooperativo
Nel modello comunità in aula gli studenti lavorano da soli, a coppie, in gruppi, nel grande gruppo (Orsi, 2006). Nell’insegnamento personalizzato e cooperativo, già all’interno della classe si svolgono due o più attività in contemporanea con metodi e obiettivi diversi. La diversificazione dei raggruppamenti e delle attività crea le condizioni per il cooperative learning (Johnson-Johnson-Holubec, 1996). Inoltre vengono organizzati all’interno della scuola gruppi di interesse, di livello, attività laboratoriali, commissioni di lavoro. Infine è possibile coinvolgere gli studenti più grandi in forme di tutoraggio e di affiancamento degli allievi più piccoli. La personalizzazione, in particolare, indica la necessità di realizzare metodi e strategie che intercettino la persona considerata con i suoi talenti e potenzialità. Non si parla, in tal senso, di integrazione di alunni disabili, ma di integrazione di tutti in quanto ciascuno è diverso (D’Alonzo, 2002). La comunità professionale si impegna a progettare le attività dell’intera scuola, ha una visione che va oltre l’aula, sa coinvolgere gli studenti, sviluppa cooperative learning nella misura in cui alimenta il cooperative teaching.

Lo spazio politopo e gli oggetti
La logica di comunità promuove la strutturazione degli spazi in modo polifunzionale (spazio politopo) a partire dall’aula, favorendo autonomia e indipendenza. L’aula può essere organizzata in più aree di lavoro (www.ocslc.org: Utah USA; www.eb1-ponte-n1.rcts.pt: Portogallo; www.senzazaino.it: Italia). Non solo, ma diventano importanti anche gli spazi esterni per le assemblee, per le commissioni di lavoro (di docenti e alunni), per le proiezioni, per la musica e il teatro, per la biblioteca, gli spazi all’aperto dei giardini. Il rilievo dato allo spazio dà importanza, tanto per i docenti quanto per gli studenti, al corpo, al movimento, nonché alla dimensione emozionale. Inoltre si presta attenzione all’oggettualità dell’organizzazione riferita sia alla dimensione funzionale che a quella simbolica (Bruni-Gheradi, 2007). La comunità professionale ha il compito di organizzare uno spazio complesso e politopo e, allo stesso tempo, ha a disposizione un luogo attrezzato con documenti, strumenti e materiali per progettare insieme le attività e in cui riconoscersi.

La partecipazione degli alunni
Nel modello comunità viene realizzato un coinvolgimento degli studenti nella gestione della scuola e nella progettazione delle attività didattiche (Rogoff-Tur­kanis-Bartlett, 2001; Alves Rubem, 2003) oltre che nella costruzione del sapere (Varisco, 2002). Vengono promossi il lavoro autonomo, la cooperazione, la parteci­pazione, mentre l’insegnante gioca una pluralità di ruoli (approccio frontale, af­fian­camento, incoraggiamento, presenza/assenza, organizzazione dell’ambiente, ecc.).
La comunità professionale gestisce e organizza le attività, coinvolgendo gli alunni. La partecipazione degli alunni diventa, a sua volta, un’occasione per lo sviluppo della comunità professionale.

Le dimensioni piccole e il ruolo del leader
Secondo alcuni autori il numero ottimale per costruire una comunità professionale è tra i 12 e i 15 docenti per una scuola di 250 studenti (Gregory-Smith, 1987). La piccola dimensione (www.smallschoolsproject.org) si presta alla realizzazione del modello-comunità. “Nelle piccole scuole, insegnanti e studenti si conoscono personalmente. Si tratta di una conoscenza che incoraggia il senso della comunità e promuove un clima di mutuo rispetto. Come risultato abbiamo meno problemi di disciplina e un ambiente che diventa tollerante, comprensivo, e sicuro” (Starr, 2005). Ne risulta migliorato anche l’apprendimento. Una prospettiva per l’Italia potrebbe essere quella di creare un’autonomia parziale delle scuole che fanno parte dagli istituti individuando al loro interno un docente leader con funzioni di coordinamento didattico e organizzativo. Nel caso di istituti su un unico edificio e con un numero alto di alunni (da 700 a 1300 per esempio) interessante è la proposta che prevede per ciascun livello di classe una parziale autonomia (per esempio, tutte le sezioni di classe prima, seconda, terza, ecc. di un liceo), con un proprio spazio (un piano o un’ala dell’edificio) e un proprio corpo docente, coordinato da un insegnante senior (Sergiovanni, 2002).

La rete e la formazione per la comunità professionale
Nel modello comunità la formazione non appartiene solo al singolo ma anche alla scuola. Ci si forma perché la comunità dei docenti sollecita qualcuno ad impossessarsi di nuove risorse. Se un docente partecipa ad un corso è invitato a condividere le nuove conoscenze (teorico-pratiche) attraverso incontri, dimostrazioni, visite tra pari (si va in classe del collega a vedere una pratica). La comunità professionale è in grado di sperimentare innovazioni didattiche perché sa utilizzare il metodo dell’action-research (Scurati-Zaniello, 2003), sa riflettere sull’azione (Schön, 1993), sa impiegare gli strumenti del knowledge management (Capitani, 2006). La rete (Salvini, 2007) e le comunità virtuali assumono la valenza di apertura necessaria all’esterno che rende possibile l’evoluzione sia della comunità professionale che della comunità scolastica nel suo complesso.

La progettualità integrata e il POF
Gli staff delle istituzioni scolastiche dovrebbero avere il compito di costruire un POF orientato ad una visione (Senge, 1993) che considera le connessioni e i legami tra: i saperi, i progetti, le iniziative e le azioni. Inoltre, nel contesto italiano, si dovrebbe favorire l’autonomia dei singoli plessi / scuole, in quanto reali dimensioni di base nelle quali si realizzano la comunità professionale e quella scolastica.


Conclusioni

La comunità professionale alimenta una scuola comunità e una scuola comunità, di contro, sostiene la comunità professionale. “Pochi assiomi sono così fondamentali come quello che riconosce il legame tra ciò che si verifica tra gli insegnanti e ciò che accade tra gli alunni. Le classi orientate alla ricerca, per esempio, probabilmente non prosperano nelle scuole dove la ricerca tra gli insegnanti è scoraggiata. [...] L’idea di trasformare le classi in comunità di apprendimento per gli studenti, rimane più retorica che reale senza che la scuola diventi una comunità di apprendimento per gli insegnanti” (Sergiovanni, 1996). L’individualismo dei docenti, il loro isolamento, la carenza di dialogo, la loro scarsa capacità di lavorare in gruppo e così via, non può non riflettersi sull’insegnamento, all’interno della classe. Tutto quello che accade dietro le quinte, vale a dire nella parte back (collegi, incontri, consigli, riunioni tra docenti e dirigenti ecc.), si riflette inevitabilmente sul proscenio (Goffman, 1997), nell’aula, cioè la parte front dell’organizzazione (Orsi, 2006). È per questo che sempre di più la qualità dell’istruzione non può che essere riposta nella capacità dei docenti di cooperare e dialogare creando, appunto, comunità professionali.

Opportunità e riferimenti

•     www.infed.org
    È un sito indipendente e no-profit che ha per obiettivo di mettere a disposizione uno spazio aperto per esplorare la teoria e la pratica dell’educazione informale, dell’apprendimento lungo l’arco di tutta la vita, dell’azione sociale. Particolarmente risalto viene dato al tema della comunità.
•     www.smallschoolsproject.org
    È il sito di un movimento che vuole promuovere le piccole dimensioni nelle scuole ritenendole più adeguate in termini di efficienza amministrativa ed efficacia didattica.
•     www.associazionetreelle.it
    L’Associazione TreeLLLe ha come obiettivo il miglioramento della qualità educazione. Attraverso un’attività di ricerca, analisi, progettazione e diffusione degli elaborati offre un servizio all’opinione pubblica, alle forze sociali, alle istituzioni educative e ai decisori pubblici, a livello nazionale e locale.
•     www.ocslc.org
    È un sito delle scuole Open Classrooms di Salt Lake City, Utah (USA)
•     www.ascd.org
    Sito dell’Associazione per la supervisione e lo sviluppo del curricolo Alexandria, Virginia (USA)
•     www.senzazaino.it
    Si tratta del progetto “Senza Zaino per una scuola comunità” (raggruppa in rete 15 istituti della Toscana) che sviluppa la partecipazione degli alunni, ambienti di comunità, innovazione metodologico – didattica, riorganizzazione degli spazi.
•     www.eb1-ponte-n1.rcts.pt
    Sito della scuola Ponte (Porto-Portogallo) che realizza un modello di partecipa­zione e democrazia nella conduzione delle attività scolastiche, responsabilizzando gli alunni con un sistema di raggruppamenti che vanno oltre la classe.

Indicazioni bibliografiche

Ajello A.M., Pontecorvo M., Il curricolo. Teoria e pratica dell’innovazione, La Nuova Italia, Firenze, 2002.
Alves Rubem A., La scuola che ho sempre sognato senza immaginare che potesse esistere, EMI, Bologna, 2003.
Benadusi L., Il dirigente nell’autonomia: una nuova professione, in Associazione TreeLLLe, La dirigenza della scuola in Europa, Genova, Fondazione per la Scuola della Compagnia di S. Paolo, 2007.
Biondi G., La dittatura dei learning object. Il “paradosso” dei Learning Object ripropone la questione della dipendenza del modello formativo rispetto agli oggetti didattici, in http://www.indire.it/content/ sito dell’ex-INDIRE (ora ANSAS, Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica), 16 dicembre 2004.
Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano, 2005.
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Risorse normative

La scuola come comunità, la comunità educante, la comunità professionale ha in Italia un supporto normativo che data dalla promulgazione degli organi collegiali. Tuttavia la normativa non è stata adeguatamente supportata da azioni per creare effettivamente scuole-comunità. La legislazione sull’autonomia delle scuole da questo punto di vista per un verso è apparsa insufficiente per un altro poco sfruttata nelle parti che riguardano l’innovazione (si veda per esempio il capo II “autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo”).
•     Legge 15 marzo 1997, n. 59: Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Am­ministrazione e per la semplificazione amministrativa.
•     D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275: Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche.
•     D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112: Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della Legge 15 marzo 1997, n. 59.
•     D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233: Norme per il dimensionamento ottimale delle is­ti­tuzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli
•     D.M. 26 giugno 2000, n. 234: Regolamento, recante norme in materia di curricoli nell’autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275.
•     D.M. 13 giugno 2006, n. 47: D.M. 28 dicembre 2005 - Quota orario dei curricoli riservata alle istituzioni scolastiche.