Valorizzare la professionalità docente
Cosa cambia (potrebbe cambiare) per gli insegnanti?
di Giancarlo Cerini
Aspettative, dubbi, convinzioni
Ancora non abbiamo una proposta di dettaglio del Governo sulla valorizzazione della professionalità docente, tuttavia molte dichiarazioni dei vertici politici, alcune scelte strategiche del Ministro dell’istruzione (come l’istituzione di un “Cantiere Docenti”), qualche indiscrezione filtrata sulla stampa (come l’ormai celebre intervista a “Repubblica” del 2 luglio 2014 del Sottosegretario Reggi sulle “36 ore”), delineano una situazione in movimento che potrebbe sfociare in provvedimenti legislativi clamorosi (un nuovo stato giuridico deliberato dal Parlamento?) o in una radicale ristrutturazione dell’attuale Contratto di Lavoro (fermo al 2006-2009).
Ma procediamo con ordine, infatti sono molti i piani di discussione che si intrecciano e sovrappongono:
a) la definizione della professionalità (come si caratterizza un insegnante “efficace”, come viene formato, come la si valuta, ecc.). In definitiva, cosa si richiede oggi ad un docente di qualità?
b) i meccanismi per valorizzare e riconoscere il merito nella professione docente (incentivi temporanei o permanenti? legati a comportamenti individuali o collettivi? al tempo di impegno o all’esercizio di maggiori responsabilità nella scuola?);
c) le articolazioni del profilo docente, in relazione alla necessità di incentivare nuove competenze e di presidiare funzioni vitali per la scuola dell'autonomia (middle management, ma non solo).
Dal dibattito emergono due strade da percorrere, non necessariamente alternative.
Da un lato, si vuole irrobustire il profilo professionale del docente, ridefinendone il perimetro, fino a prefigurare l’idea di uno sviluppo di carriera che non sia legato agli automatismi dell’anzianità di servizio (come avviene in Italia da oltre 40 anni), ma al riconoscimento di competenze e qualità didattiche progressivamente maturate e certificate. In questo ambito si rimette in discussione anche il “tempo di lavoro” degli insegnanti, spesso però circondato da ingiustificate “leggende metropolitane” (i tre mesi di ferie, le 18 ore settimanali, ecc.).
Dall’altro, si propone di considerare le nuove funzioni oggi richieste agli insegnanti da un’organizzazione scolastica che non si limita più ad erogare lezioni frontali, ma deve impegnarsi a costruire ambienti didattici qualificati, capaci di interagire con allievi che cambiano e contesti sociali sempre più esigenti. C’è bisogno di nuove competenze organizzative, tecnologiche, relazionali, progettuali, che vanno formate e diffuse tra tutti i docenti, ma anche curate da alcuni di essi con funzioni di responsabilità riconosciute.
Per questi motivi non basta più ciò che sta scritto nell’ormai lontano “Stato giuridico dei docenti” (1974), ma nemmeno ciò che si declina nell’ultimo contratto di lavoro (2006-2009). Occorre riprendere con coraggio il filo del discorso, là dove era rimasto interrotto nelle “code contrattuali” (cfr. Documento MIUR-ARAN-OO.SS del 2005)1 o impigliato in un acerbo dibattito parlamentare (cfr. la proposta di legge “Aprea” e segg.)2.
I nodi da sciogliere
Una proposta innovativa e coraggiosa implica un preliminare chiarimento circa le caratteristiche di base che si auspicano nella docenza. Il mestiere di insegnante sta cambiando, ma pochi ne traggono le conseguenze, se prendiamo atto della piattezza dei trattamenti giuridici ed economici. Pensiamo alla complessità della gestione delle classi, all’impatto con la cultura giovanile e il mondo digitale, alle nuove forme dell’apprendimento e della comunicazione, all’erosione dell’autorevolezza nel rapporto tra generazioni.
Questo scenario in movimento richiede insegnanti capaci di immaginarsi anche al di qua della cattedra, perché il lavoro a scuola non è più rappresentato solo dall’orario frontale di lezione. Già oggi è così. Interazione con gli allievi sul web, preparazione di risorse didattiche (anche digitali), accompagnamento in uscite e stage outdoor, tutoraggio individuale per alunni in difficoltà, gestione di relazioni sociali complesse, assunzione di responsabilità organizzative interne ed esterne alla scuola (coordinamenti, dipartimenti, progetti, ecc.). Bisogna prendere atto di questi mutamenti e darne conto in una diversa descrizione degli standard professionali, che non possono comprendere solo i consueti aspetti disciplinari, metodologici, didattici, relazionali, che già appaiono in termini generici, nei contratti di lavoro. Gli standard professionali sono strutturati in indicatori ed in rubriche descrittive dei comportamenti attesi, e si proiettano nelle dinamiche della gestione della classe, negli stili comunicativi, nella capacità di costruire relazioni pro-attive con gli studenti, nella produzione e documentazione didattica.
Il nuovo profilo implica certamente nuove e più incisive forme di preparazione iniziale, di reclutamento e di assegnazione dei docenti alle scuole. Dovremmo parlare di “induzione” alla professione, che nell’immediato richiede una profonda rivisitazione dell'anno di formazione dei nuovi docenti, con introduzione di una maggiore responsabilità delle scuole, valorizzando la figura del tutor accogliente (ad esempio, con forme di peer review e di supervisione didattica), alimentando il protagonismo riflessivo del docente neo-assunto e promuovendo comunità professionali “reali” e “virtuali” sul web. La dimensione individuale dovrà dialogare necessariamente con la dimensione collaborativa3.
In questo profilo un ruolo “pesante” è svolto dalla formazione permanente in servizio. Non è più rinviabile il reinserimento di un plafond obbligatorio di tempo (almeno 20 ore) da dedicare annualmente alla cura della propria formazione, con ampi margini di libertà di scelta, ma anche con l’impegno a partecipare a momenti forti di ri-posizionamento all’interno del proprio contesto di lavoro, quando cambiano gli scenari istituzionali e organizzativi, oltre che didattici.
La questione dirimente è però data da una qualche forma di valutazione del lavoro dei docenti, di feed-back circa la sua qualità (non dimentichiamo che la ricerca TALIS rivela non solo l’assenza di un sistema di valutazione, ma la mancanza di ogni forma di verifica, interazione, confronto, sul proprio modo di insegnare e sulla sua efficacia). Potrebbe bastare anche un semplice modello di autovalutazione (cioè di capacità di documentazione e riflessione critica sul proprio operato in classe) accompagnato da una valutazione/validazione “esterna” (ad esempio, un ri-esame con un soggetto esterno: un collega “master”, un dirigente scolastico, un ispettore, un esperto esterno).
Gli esiti di questa attività, unitamente ad altri elementi (crediti) ) dovrebbero confluire nella costruzione del portfolio professionale, che è cosa diversa dall’aggiornare il proprio curriculum. Un curriculum è una descrizione ordinata delle proprie esperienze formative e professionali; un portfolio è una riflessione argomentata sull'impatto delle esperienze formative e professionali sul proprio “essere insegnante”, con costruzione di un bilancio di competenze e di un progetto di sviluppo professionale.
Le proposte in discussione
Si segnalano qui di seguito alcune tendenze su cui sembrano convergere le ipotesi di sviluppo della professione docente.
Progressione di carriera
Si tratta di prefigurare uno sviluppo in verticale della carriera docente, attraverso l'individuazione di step di qualificazione progressiva. In genere, le diverse proposte convergono nell’immaginare tre diversi “gradini”, identificati con terminologie variegate:
1. docente principiante: è uno status che implica un più lungo periodo iniziale di prova e di formazione (ad esempio, un biennio) ed un più rigoroso accertamento delle competenze;
2. docente ordinario: comporta il riconoscimento di una professionalità stabile e adeguata per l'insegnamento;
3. docente “esperto” o “master teacher” (o specialista), a seguito di attestazione di una professionalità “matura” (eventualmente da mettere a disposizione della comunità scolastica).
Il passaggio da un livello all’altro dovrebbe avvenire tramite procedure concorsuali (interne od esterne alla scuola, in qualche caso qualcuno propone di affidarle al dirigente scolastico). La collocazione in un determinato livello porta con sé un migliore trattamento economico e/o la possibilità di svolgere determinate funzioni retribuite.
Orario “all inclusive”
La “consistenza” temporale del lavoro docente non può coincidere con la pura prestazione di ore-lezione-cattedra (tra l'altro diversamente configurate per livello scolastico), ma orientarsi verso un orario “all inclusive” in cui abbiano pari dignità giuridica le ore di insegnamento diretto in aula; le attività di tutoraggio, di accompagnamento, di recupero; ma anche i momenti di studio, progettazione, formazione
Alcune ricerche4 già consentono di “rappresentare” gli impegni di lavoro connessi alla funzione docente, che però godono di un riconoscimento sociale assai debole (anzi restano invisibili sotto la linea di galleggiamento dell’iceberg delle sole ore di lezione). Un simile orario onnicomprensivo potrebbe aggirarsi sulle 30 ore settimanali di presenza a scuola (in altri paesi si arriva a volte alle 35 ore settimanali, ma con condizioni di agibilità migliori). La discussione potrebbe vertere su quale parte del tempo va prestata a scuola (e per quali ragioni), e se debba includere tempo per sostituire i colleghi). Resterebbe poi da considerare un “quid” culturale, tipico della docenza (studio, riflessione, ecc.) da lasciare ad una gestione più libera.
Una seconda questione riguarda i periodi di ferie, connessi al funzionamento delle scuole. In alcuni contratti (cfr. Agidae) 5 si aggiunge al primo mese di ferie (33 giorni) un secondo periodo legale di sospensione degli impegni (26 giorni), per compensare un “pacchetto” di 70 ore di tempo messo a disposizione dal docente lungo tutto l’anno per attività extracurricolari, recupero, progettazione ed anche brevi sostituzioni. In alcuni casi il tempo “aggiuntivo” dedicato alla formazione fa scattare ulteriori compensazioni di “ferie”. Sembra un modo intelligente per equiparare il lavoro docente ad altri impieghi pubblici, salvaguardandone una certa specificità. Una sorta di contratto di solidarietà tra la categoria docente e gli altri lavoratori.
In prima istanza si può immaginare un doppio profilo della docenza: ad orario potenziato, ad orario-base, con possibilità di optare rispetto a contingenti prefissati per ogni istituzione scolastica. Il regime ad orario potenziato sarebbe obbligatorio per tutti i docenti neo-assunti.
Figure intermedie
È urgente profilare un repertorio di figure intermedie, di sistema, di staff (ma la terminologia dovrebbe essere maggiormente raffinata), che delineano funzioni da presidiare nella scuola, da affidare temporaneamente a docenti che abbiano i necessari requisiti di competenza (sono dunque anche un riconoscimento alla professionalità). Ci riferiamo a: coordinatori di consigli di classe; coordinatori di dipartimenti disciplinari, responsabili di unità scolastiche decentrate, responsabili di progetto, ecc.
Questa operazione richiede di delineare: qualificazione necessaria di tali figure; percorsi di formazione; descrizione dei compiti attesi; modalità di accesso alla formazione6.
Lo svolgimento di posizioni organizzative intermedie dovrebbe essere particolarmente valutato nei percorsi e nelle modalità di reclutamento dei dirigenti scolastici.
Il dinamismo della professione
In sintesi, l’insieme di queste proposte dovrebbe aiutare a far uscire il lavoro del docente dal “grigiore” dei trattamenti indifferenziati che deprimono le motivazioni e non sono in grado di attrarre (e poi di trattenere) i migliori talenti vero l'insegnamento. Per ottenere questo occorre introdurre elementi di dinamismo nella carriera docente (che non dovrebbe procedere solo per anzianità), prefigurando il riconoscimento di impegni e meriti ed una effettiva maturazione di competenze (il docente “esperto”). Lo sviluppo professionale dovrebbe essere esplicitamente collegato all'innovazione nelle didattiche. Occorre preliminarmente definire un profilo di qualità verso cui tutti i docenti dovrebbero tendere (va cioè evitata la comparazione in forma di graduatorie, e favorita invece la comparazione rispetto ad uno standard ottimale che si raggiunge facendosi riconoscere crediti).
È importante coniugare questa spinta verso il miglioramento personale e l'eccellenza con la natura collaborativa del lavoro docente. Non è più adeguato il modello del docente “solista della didattica”, perché l’insegnamento diventa più efficace se svolto nell'ambito di un team (es. consiglio di classe, dipartimento disciplinare). I docenti riconosciuti come migliori dovrebbero essere a disposizione delle scuole per compiti di qualificazione dei colleghi; la loro ricompensa aggiuntiva risiede anche in queste funzioni aggiuntive e nel maggior tempo da dedicare alle scuole7 Questo approccio è coerente con l'idea di un'autonomia scolastica non meramente gestionale, ma di natura professionale (perché implica una leadership distribuita, una diversa figura del dirigente scolastico -leader per l'educazione, una nervatura intermedia di funzioni e figure).
Come si alimenta una professione matura
La professionalità di un insegnante richiede un tirocinio formativo iniziale, rigorose procedure di reclutamento, una intensità di vita professionale (non basta il semplice accumularsi dell'esperienza), unita da una attitudine permanente alla riflessione sulla propria pratica didattica.
Si diventa insegnanti “esperti” se:
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ci si prende cura della propria formazione permanente;
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si gestisce una didattica efficace (partecipata... collaborativa...);
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si verificano i risultati dei ragazzi e si “curva” la didattica per migliorarli;
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si condivide con i colleghi la progettualità educativa e didattica;
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si rendiconta il proprio lavoro e si è disponibili alla valutazione (anche “esterna”);
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si assumono responsabilità circa i risultati della propria scuola.
Questi comportamenti dovrebbero essere descritti attraverso una serie di indicatori, da tradurre poi in crediti formativi, professionali, didattici. Il riconoscimento di tali crediti determina una diversa traiettoria professionale per i docenti, sotto il profilo di incentivi temporanei o permanenti, di progressione di carriera o di accesso a funzioni intermedie, di benefit variamente configurabili. Un nucleo di valutazione (interno-esterno) dovrebbe procedere al riconoscimento/validazione dei crediti.
Il sistema dei “crediti”
Lo sviluppo della funzione docente comporta la possibilità di acquisire crediti (qui definiti formativi, professionali, didattici) connessi alla particolare qualità della prestazione offerta. I crediti si maturano siano curando la propria preparazione professionale, sia come riconoscimento di impegni e competenze acquisiti nel corso del proprio lavoro. I crediti possono assumere un “peso” diverso, in relazione all'utilizzo che si intende farne ai fini del proprio sviluppo professionale.
Crediti formativi
Sono quelli connessi alle attività di formazione in servizio, alle attività di ricerca didattica, alla eventuale produzione scientifica e culturale.
Si utilizzano come criteri di riferimento i CFU-Crediti Formativi Universitari (segmenti i formazione onnicomprensivi di 25 h. comprendenti frequenza diretta di attività, studio, ricerca, sperimentazione, documentazione). La loro descrizione implica la definizione di alcune caratteristiche dell'attività formativa e/o assimilabile (durata, qualità, enti promotori, documentazione, esiti, incidenza sulle pratiche).
Si individua una soglia minima di attività formative e/o assimilabili, per un docente, pari a 2 crediti formativi da acquisire in ogni anno scolastico.
Per la produzione scientifica e culturale è possibile fare riferimento ad analoghe esperienze in fase di attuazione nel mondo accademico.
Crediti professionali
Sono quelli connessi agli impegni assunti all'interno della propria organizzazione scolastica. Ad esempio: partecipazione ai dipartimenti, a gruppi di progetto, a nuclei di valutazione. Svolgimento di funzioni di staff, strumentali, di supporto. Responsabilità di unità operative.
Gli impegni possono essere descritti in termini di qualità delle mansioni e delle responsabilità, per la loro durata, per i risultati raggiunti, per l’incidenza sulla vita organizzativa di una istituzione scolastica. Possono essere documentate in un curriculum professionale predisposto, anche in formato elettronico.
Crediti didattici
Ci si riferisce alla validazione della qualità dell'esperienza didattica che un docente, volontariamente, può sottoporre ad una supervisione esterna. Il credito viene acquisito attraverso un processo che prevede:
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la documentazione di unità (sequenze/moduli/percorsi) di insegnamento (almeno tre nel corso di un anno scolastico)(in formato elettronico e/o multimediale);
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l'analisi della documentazione didattica a cura di una equipe (formata da un collega esperto, un dirigente scolastico, un esperto esterno) che rilascia un referto;
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osservazione in classe a cura di un collega “esperto”, che rilascia un report.
L'insieme di questo percorso viene documentato all'interno del portfolio professionale del docente. L'esperienza può essere semplicemente documentata oppure anche validata (da decidere se il portfolio contiene solo esperienze “validate”).
Costituisce elemento di apprezzamento la disponibilità del docente a sottoporsi alla valutazione esterna/osservazione della propria attività didattica in classe.
Costruirsi un proprio portfolio professionale8
Negli scorsi anni l’USR ER ha sperimentato – d’intesa con le associazioni professionali più rappresentative - la costruzione di diversi modelli di portfolio professionale9. Successivamente il portfolio è stato adottato anche in occasione dell’attività di formazione per i docenti neo-assunti. Ad un gruppo di loro è stato proposto di sostituire la c.d. relazione finale con la elaborazione di un portfolio personale, dedicando il tempo della formazione (on site e on line) alla messa a punto di questo strumento. Ma cos’è un portfolio professionale? Descriviamo il modello messo a punto in Emilia-Romagna.
La parte iniziale del dossier (dedicata all’identità professionale) è dedicata alla documentazione degli studi fatti, della formazione professionalizzante, delle esperienze lavorative. In definitiva è la ricostruzione della proprio biografia di insegnante (un curriculum vitae argomentato).
Una seconda parte è legata alla consapevolezza dei momenti significativi che hanno contribuito allo sviluppo professionale, quindi si ricostruiscono e si documentano incontri importanti, eventi formativi, ricerche e innovazioni, partecipazione a gruppi, ecc… (per fare emergere il docente “riflessivo”).
Segue poi l’area centrale, dedicata alla “professionalità in contesto”, cioè alla documentazione di come si organizza il lavoro in classe, come lo si progetta, lo si gestisce, lo si valuta. Lo si può fare attraverso auto-osservazioni, protocolli di osservazione “esterne”, presentazione di evidenze (meglio se corredato di documenti autentici).
L’ultima parte del portfolio è legata alla messa a punto di un percorso di sviluppo professionale, a seguito di un bilancio critico delle proprie competenze. Inoltre, questa parte dà conto della coerenza tra le proprie idee sul fare scuola e le pratiche didattiche che si realizzano in classe.
Sono molti gli usi che si possono fare di un portfolio. In questo contesto ne abbiamo enfatizzato la capacità di descrivere una professionalità complessa (non di valutarla), favorendo la narrazione, l’autocomprensione, la consapevolezza di come e perché si diventa un buon insegnante. Quindi, al di là della selezione di materiali o di documenti da inserire nel port-folio, è la cornice riflessiva che accompagna i diversi documenti a dare valore anche ad un piccolo frammento di esperienza, perché lo inserisce in un quadro di consapevolezze meta-didattiche, in definitiva di crescita professionale.
Ecco perché è importante che questa dimensione riflessiva sia appresa, attraverso un confronto in piccolo gruppo, con l’aiuto di un collega-esperto (tutor) per selezionare, organizzare, dare un “significato” strutturato ai documenti via via inseriti nel portfolio.
Da dove cominciare?
La condivisione e la sostenibilità delle proposte di sviluppo della professionalità richiedono un percorso che coinvolga non troppo frettolosamente le scuole e gli insegnanti. Esperienze precedenti si sono concluse con un nulla di fatto e con molte ostilità (citiamo il concorsone 2000 proposto dal ministro Berlinguer ed il progetto “valorizza” proposto dal ministro Gelmini nel 2008), proprio perché è mancato un preventivo coinvolgimento delle rappresentanze degli insegnanti.
Una proposta di valorizzazione della professione dovrebbe vedere come alleati la parte più dinamica della categoria docente, ma dovrebbe usufruire della non belligeranza della restante platea. I docenti “valorizzati” dovrebbero essere vissuti come esempi positivi per tutti ed essere a disposizione della comunità professionale per promuoverne la qualificazione (tutor, referenti di progetto, staff, responsabili dipartimento, ecc.).
Le idee portanti della proposta: profilo dei crediti formativi, professionali, didattici; modalità di valutazione/validazione della didattica; composizione delle equipe di valutazione; ricaduta dei crediti sullo sviluppo professionale (per svolgimento di funzioni o articolazione verticale della carriera) dovrebbero essere “testate” in un gruppo significativo di scuole disponibili.
Si individua un certo numero di scuole, distribuite sull'intero territorio nazionale, anche usufruendo di fondi europei (alla luce dell'impegno richiesto dall'Unione Europea circa lo sviluppo dei sistemi di valutazione e di accountability), disponibili a sperimentare modelli e sistemi di valorizzazione della professionalità.
Ogni scuola riceve un consistente contributo finanziario per un biennio che viene utilizzato sia per sostenere l'impegno complessivo dell’istituzione scoalstica per studiare modelli operativi di sviluppo professionale, sia per riconoscere le specifiche professionalità emergenti all'interno della sperimentazione.
Ogni scuola si impegna a studiare, anche in rete con scuole del territorio:
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definizione e articolazione dei crediti formativi, didattici e professionali (descrizione, qualità impegni, durata, forme di documentazione, ecc.);
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sistema di portfolio elettronico e di curriculum professionale (ogni docente della scuola al termine del percorso biennale sarà dotato di un proprio portfolio);
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esperienze di peer review (messa in opera di modelli di osservazione in classe, e di valutazione delle competenze didattiche);
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verticalizzazione della carriera e standard professionali per il docente “esperto” (descrizione delle competenze attese da un docente esperto);
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individuazione delle funzioni intermedie da presidiare all'interno della scuola (nell'ambito di una prospettiva di leadership educativa diffusa e di comunità professionale);
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profili del middle management (soglie di accesso, formazione, monitoraggio, valutazione esiti);
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elaborazione del contratto formativo di istituto per i docenti (piano di sviluppo professionale personale).
Ogni scuola (o rete di scuola) può approfondire la ricerca di uno o più grappoli di questioni, d'intesa con il comitato scientifico nazionale (e regionale) incaricato della supervisione del progetto.
Un lavoro sul campo potrebbe agevolare il successo di una operazione che sarebbe di portata storica per il nostro Paese. Il legislatore dovrebbe affermare alcuni principi basilari (il merito, le responsabilità, il lavoro collaborativo, il tempo di impegno, il profilo formativo, ecc.), ma le scuole e gli insegnanti dovrebbero mettere alla prova queste ipotesi, costruirle concretamente. Se i due processi si sviluppassero e alimentassero a vicenda (prima alcuni criteri e principi, poi una prova sul campo, poi le formalizzazioni normative e contrattuali) le probabilità di successo sarebbero promettenti.
(ISCHIA, 29 luglio 2014)
1 All’atto di siglare il contratto nazionale di lavoro 2002-2005 fu dato mandato ad una commissione trilaterale (composta da rappresentanti del MIUR, delle organizzazioni sindacali, dell’ARAN) di definire un possibile percorso di valorizzazione della professionalità. Il documento fu pubblicato il 25 maggio 2004, ma non produsse effetti pratici. Resta attuale l’ipotesi di delineare un sistema di crediti formativi.
2 La proposta di legge n. 951 del 12 maggio 2008 (cd. Aprea, dal nome della prima firmataria) è stata oggetto di un aspro dibattito nel Paese, soprattutto per la sua presunta impronta aziendalista e liberista (ad es. l’introduzione dei Consigli di Amministrazione). Nel corso del dibattito parlamentare si era registrata una certa convergenza bipartisan sul tema dello sviluppo di carriera, con l’emergere di una articolazione di profili differenziati: contratto di inserimento, docente iniziale-ordinario.-esperto, vice dirigente. La proposta si è poi arenata con la chiusura traumatica della legislatura.
3 Sul tema della comunità professionale v. M.Osi, M.B.Orsi, C.Natali, La comunità che fa crescere la scuola, Tecnodid, Napoli, 2013. Contiene ampie indicazioni operative per promuovere il lavoro collaborativo a scuola.
4 cfr. Apollis, Scuola: non solo insegnamento. Orario e carico di lavoro degli insegnanti in provincia di Bolzano, 2004-2006. http://www.apollis.it/24d309.html
5 Cfr. il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Agidae 2010-2012 per la scuola non statale, sottoscritto il 9 dicembre 2010. http://2.flcgil.stgy.it/files/pdf/20101210/ccnl-agidae-2010-2012.pdf
6 Cfr. numero monografico di “Rivista dell'istruzione”, n. 4, luglio-agosto 2012 dedicato alla descrizione di alcune figure del middle management: in particolare G.Sirotti, Il coordinatore del consiglio di classe: ruolo strategico nell'organizzazione, che presenta una sperimentazione realizzata in provincia di Trento.
7 cfr. A. Gavosto, Un'elite di insegnanti a tempo pieno per ritrovare il prestigio perduto, Corriere della Sera, 20 maggio 2014.
8 Questo paragrafo è ripreso in parte dall’articolo di G.Cerini, A ciascuno il suo (portfolio), in “Formazione e scuola”, n. 1-2. gennaio-febbraio 2014, Cisl-Scuola, Roma.
9 USR Emilia-Romagna (a cura di G.Cerini), La strategia del portfolio docente, Tecnodid, Napoli, 2011. Con interventi, tra gli altri, dei responsabili nazionali di ADI, AIMC, APS, CIDI, FNISM, DIESSE, UCIIM.