Il “nuovo” profilo del dirigente scolastico
Con l'approvazione del disegno di legge su "La Buona Scuola" si apre comunque una fase nuova nella vita della scuola italiana. La Tecnodid, nel solco della tradizione di approfondimento, analisi, sviluppi operativi della legislazione vigente, offrirà ai propri lettori contributi di inquadramento culturale, tecnico-normativo ed operativo sulle innovazioni apportate al sistema educativo.
Una prima sede di confronto aperto sarà costituita dall'annuale "Summer school" di Ischia, dal 19 al 21 luglio, non a caso intitolata "Verso nuovi scenari", in cui si affronteranno alcune delle questioni "calde" del dibattito: quale dirigente? quale autonomia? quale professionalità? quale valutazione?
Intanto offriamo all'attenzione dei lettori un primo contributo di Giancarlo Cerini, che affronta con il suo noto equilibrio la delicata questione del nuovo profilo del dirigente scolastico, che tanto ha fatto discutere in questi mesi.
A suon di metafore!
Il “nuovo” profilo del dirigente scolastico
Un uomo solo al comando?
Che ci fosse la voglia di rafforzare il ruolo del dirigente scolastico nella governance della scuola italiana, lo si era già visto nelle bozze iniziali del documento “La Buona Scuola”, ove con qualche metafora (di troppo) si era paragonato il “preside” al capitano di una nave. Chi accetterebbe di essere lasciato su una nave alla deriva, senza guida, senza timoniere e senza capitano? Peggio dei barconi di immigrati disperati in balia delle onde. Più giovanilista l'idea del coach (dell'allenatore) che compone la squadra e fa scendere in campo la miglior formazione possibile. Ma sappiamo bene come – anche in questo settore - sia complicato rafforzare la rosa dei giocatori, ben al di là di quella desiderata dell'allenatore (spesso con le valigie in mano, perché capro espiatorio dei cattivi risultati): contano il budget, le folle regole del calcio-mercato[1], i blitz della magistratura, i boatos dei quotidiani sportivi, una folla -poco raccomandabile – di mediatori, procuratori, procacciatori....
Il dibattito sul preside, però, nei mesi scorsi non era decollato: le questioni su cui si discuteva accesamente attorno alla “Buona Scuola” erano i precari, il merito, la valutazione dei docenti, i fondi alle scuole private... Sullo sfondo stavano le questioni generalissime della governance del sistema educativo, alle prese con una improbabile riforma degli organi collegiali: appunto, come modificarli, quale ruolo attribuire a genitori e soggetti esterni, come ridefinire i binari di una corretta collegialità, per non trasformarla in autoreferenzialità difensiva? Problemi che si trascinano irrisolti da troppi anni per essere presi troppo sul serio.
Poi in effetti c'è stato il blitz del premier, quella slide n. 1 al TG delle 20 in uscita dal Consiglio dei Ministri di primavera che anticipava a gran voce che il Preside avrebbe scelto i docenti. Detto così, nella sincope di una slide televisiva, lasciava aperti tanti dubbi: chiamata diretta? A prescindere dall'assunzione per concorso? Con discrezionalità totale? Come un Sindaco si sceglie una Giunta su misura...ecco appunto, il preside Sindaco.... Il dibattito pubblico, le paure, i timori, i fantasmi, si sono innestati su questa immagine, anzi su quella più ruvida dello “sceriffo”, nume tutelare della legge, da modi anche un po' spicci, l'uomo solo al comando (magari nella versione buonista di Gary Cooper in “Mezzogiorno di fuoco”).
Alla ricerca di una dialettica ragionevole
E' stato difficile smentire questa immagine, ritornare sui binari di una dialettica ragionevole, sugli interrogativi veri legati alla figura del dirigente scolastico. Burocrate tutto immerso nelle procedure amministrative? Leader educativo capace di una sua visione e in grado di trascinare i suoi docenti verso nuovi orizzonti? Manager in grado di far affluire nuove risorse verso la sua scuola? Grande comunicatore che sa ben posizionare il proprio istituto nel territorio, tra i genitori, tra gli studenti. Forse un po' di tutto questo, ma con l'esigenza di meglio precisare i contorni giuridici, gli spazi operativi, le condizioni di fattibilità di una figura autorevole e decisiva per la qualità di ogni scuola. Ad esempio, come affrontare, a legislazione vigente, l'eterna carenza di dirigenti nelle nostre scuole (oggi si parla di circa 1.360 sedi vacanti su 8.600), l'impatto dei dimensionamenti al rialzo, le tortuosità dei concorsi, l'araba fenice della valutazione mancata, le strettoie e le pastoie di sfibranti contrattazioni d'istituto e mediazioni al ribasso nei collegi.
Forse sono queste le questioni vere della dirigenza scolastica italiana (al netto di un trattamento economico che è di gran lunga inferiore alle analoghe e meno visibili responsabilità degli altri dirigenti della Pubblica Amministrazione) e dispiace che una dissennata conduzione del pubblico dibattito sulla riforma abbia offuscato questi problemi decisivi per una buona scuola.
Ora bisogna ritornare ai testi normativi, ai loro effettivi contenuti, alla loro possibile interpretazione, agli spazi che si aprono per tradurli in prassi organizzative (spazi che potrebbero contenere importanti sorprese, in positivo, come cercheremo di argomentare).
Le continuità nel profilo dirigenziale
Storicamente, il profilo del dirigente scolastico è delineato nell'art. 25 del decreto legislativo 165 del 2001, che recepisce la specifica figura dirigenziale del capo di istituto, così come era stata “fondata” nell'ambito dell'avvio dell'autonomia scolastica. Da quella stagione (legge 59/1997) scaturirono i provvedimenti attuativi, tra i quali certamente il tuttora vigente regolamento dell'autonomia (Dpr 275/1999) ed appunto l'attribuzione della qualifica dirigenziale (D.lsg 59/1998). Ora si torna a quella stagione e fa piacere ritrovare, nel testo della nuova legge i riferimenti che abbiamo testé citati, in particolare la descrizione contenuta nell'art. 25. Lì si stabilisce un delicato equilibrio tra la dimensione monocratica del dirigente (con le sue responsabilità, i suoi “autonomi poteri di direzione”, le sue discrezionalità gestionali, ecc.) e quella “distribuita”, cioè il riferimento alla comunità professionale, agli organi collegiali, ai legami con il territorio, con l'impegno a valorizzare pienamente le risorse professionali, a svolgere funzioni di coordinamento progettuale. Un costruttore di comunità dunque, oltre che un dirigente pubblico con l'onere del raggiungimento degli obiettivi assegnati.
Questa duplicità di ispirazioni la ritroviamo anche nel “nuovo” profilo generale del dirigente scolastico, magari con un più forte richiamo ai livelli unitari di fruizione del diritto allo studio (quindi il dirigente come garante di alcuni standard minimi, al di là dei vincoli dei diversi contesti), e del buon funzionamento dell'istituzione scolastica. Non sembra troppo diverso dal profilo attuale.
comma 78. Per dare piena attuazione all'autonomia scolastica e alla riorganizzazione del sistema di istruzione, il dirigente scolastico, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio, garantisce un efficace ed efficiente gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali, nonché gli elementi comuni del sistema scolastico pubblico, assicurandone il buon andamento. A tale scopo, svolge compiti di direzione, gestione, organizzazione e coordinamento ed è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio secondo quanto previsto dall'articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché della valorizzazione delle risorse umane.
Il dirigente che progetta
Dopo le sviste della prima stesura del disegno di legge, in cui veniva assegnata al dirigente scolastico una sorta di delega totalizzante in materia didattica, in quanto:
- era considerato “responsabile delle scelte didattiche”, mentre sarebbe stato corretto dire “responsabile delle scelte strategiche di istituto che portano ad una buona didattica”;
- era artefice in toto del Piano triennale dell'offerta formativa, che sembrava scaturire da una volontà unilaterale;
- disponeva quasi a titolo personale di un fondo per la premialità;
- chiamava direttamente i docenti nel proprio istituto,
nella versione definitiva, questi aspetti sono stati ricollocati in una governance molto più temperata, ove continuano ad operare anche altri soggetti, ciascuno con le proprie competenze, fermo restando al dirigente la potestà di “fare sintesi” e la titolarità delle decisioni finali. Ma vediamo un caso concreto: la progettazione dell'offerta formativa. Il POF, nella nuova configurazione prevista dalla legge, da esile strumento giuridico, di incerto perimetro, si trasforma in un vero e proprio piano strategico triennale (è evidente il legame con il ciclo triennale di valutazione-miglioramento e con la durata triennale dell'incarico dirigenziale, anche se sono da chiarire i disallineamenti attuali). E' anche da chiarire l'autoconsistenza del piano, cioè la necessità comunque che l'assegnazione di risorse (umane, finanziarie, tecnologiche, strutturali), che possono ben essere “postate” nel Piano, sia poi effettivamente disposta dalle varie amministrazioni competenti, in primis dallo Stato, titolari della fiscalità generale. Infatti, le contribuzioni private continueranno -ed è bene che sia così – ad avere una incidenza assai limitata nelle dotazioni di istituto. C'è dunque una domanda progettuale da esprimere dal basso, in piena autonomia e in termini convincenti, ma poi ci sarà l'effettiva e concreta disponibilità delle risorse richieste.
Ora le legge riassegna al collegio l'elaborazione del piano (meglio sarebbe stato delimitare questa soggettività alla dimensione didattica) ed al consiglio di istituto la sua approvazione (qui si scopre, semmai, il nuovo baricentro della governance della scuola), mentre sono poste in capo al dirigente le scelte gestionali (e di indirizzo). Quest’ultimo principio appare corretto, ma di non facile interpretazione, perché va correlato alla dimensione collaborativa e culturale tipica del lavoro dei docenti, con tanto di riconoscimento della libertà di insegnamento (anche se sappiamo che spesso dietro questo enunciato si celano troppe resistenze e pigrizie). D’altra parte la “gestione” è un presupposto che si lega alle prerogative dirigenziali, cioè al discrezionale e migliore impiego delle risorse. E comunque ci si muove nell'alveo delle dinamiche tipiche di ogni comunità scolastica, con il rammarico che manca dopo 40 anni di Decreti Delegati un quadro chiaro dei rapporti tra i diversi soggetti che operano al suo interno. E questa carenza, da colmare con un non facile intervento legislativo rimandato a tempi migliori, è senza dubbio un limite vistoso del nuovo impianto normativo.
comma 14 – punto 4. Il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico. Il piano è approvato dal consiglio d'istituto.
Comma 14 – punto 5. Ai fini della predisposizione del piano, il dirigente scolastico promuove i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio; tiene altresì conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti''.
Come valutare i dirigenti: il costruttore di comunità
La controprova dell'idea di dirigente che scaturisce dall'insieme del provvedimento legislativo può essere ben rappresentata dagli “indicatori” attraverso i quali sarà valutata l’azione dirigenziale. E' vero, la valutazione dei dirigenti è prevista fin dal 2001 (nel citatissimo articolo 25, che non a caso ritorna anche nella nuova legge), è regolamentata nel Contratto di Lavoro (particolare di non poco conto), ma fino ad oggi abbiamo assistito solo ad alcune limitate sperimentazioni (Si.Vadis. et similia). Non basta scrivere le leggi, verrebbe da dire, occorre poi sviluppare delle concrete politiche pubbliche e il leit-motiv ben si attaglia anche alla situazione odierna. Comunque, ci sono alcuni agganci normativi precisi, a partire dal Regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione (Dpr 80/2013) che incardina l'azione del dirigente scolastico nella dinamica valutazione-miglioramento e ipotizza già alcuni passaggi operativi: in buona sostanza la conoscenza della scuola rappresenta il plafond conoscitivo su cui si innesta l'apprezzamento del “valore aggiunto” apportato dal dirigente al “buon andamento” della scuola da lui diretta.
La profilatura degli indicatori non è di poco conto, infatti emerge una figura di dirigente che mette al centro della sua azione la “tenuta” del sistema scuola, con i valori della partecipazione, della collaborazione, della unitarietà di intenti, della valorizzazione di impegni e meriti. Certo, c'è un richiamo esplicito ai “risultati”, sia dell'organizzazione (il miglioramento) sia degli allievi (il successo formativo), con un occhio di riguardo alla cultura delle performances di cui al decreto 150/2009. Ma questo fa parte delle regole del gioco e non offusca una prioritaria attenzione alla capacità di “fare comunità” sociale e professionale.
Comma 93. La valutazione dei dirigenti scolastici è effettuata ai sensi dell'articolo 25, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Nell'individuazione degli indicatori per la valutazione del dirigente scolastico si tiene conto del contributo del dirigente al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico previsti nel rapporto di autovalutazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, in coerenza con le disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e dei seguenti criteri generali:
a) competenze gestionali ed organizzative finalizzate al raggiungimento del risultati, correttezza, trasparenza, efficienza ed efficacia dell'azione dirigenziale, in relazione agli obiettivi assegnati nell'incarico triennale;
b) valorizzazione dell'impegno e dei meriti professionali del personale dell'istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali;
c) apprezzamento del proprio operato all'interno della comunità professionale e sociale;
d) contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi e didattici, nell'ambito dei sistemi di autovalutazione, valutazione e rendicontazione sociale;
e) direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole.
Il briscolone: la “chiamata” diretta del personale
Ma, si dirà, questo delicato equilibrio che si può scorgere nei processi tipici della azione di una scuola (la progettazione, la formazione, la valutazione) sembra venir meno di fronte alla “forzatura”, si dice voluta dal premier, della chiamata diretta del personale docente affidata al dirigente scolastico. Intanto occorre fare delle precisazioni importanti: non si tratta tout court dell'assunzione discrezionale di personale nella scuola al di là di ogni regola pubblica. La Costituzione prevede che si acceda ai pubblici impieghi per concorso e questo principio resta (anzi, si afferma in altra parte della legge, sarà rafforzato): qui è in gioco l'assegnazione di personale già di ruolo e già titolare in un ambito territoriale (il cosiddetto albo, che possiamo considerare una dotazione organica sub-provinciale). Dunque ci si riferisce al migliore utilizzo dei docenti nelle scuole di un territorio, evitando che si arrivi quasi per caso (con i punteggi anonimi dei trasferimenti) e che si instauri invece un rapporto de visu tra la richiesta/aspirazione del docente ad una certa sede e la valutazione dell'adeguatezza di tale scelta affidata alla scuola accogliente. Meccanismo delicato che non dovrebbe essere affidato alla sola “macchina dei trasferimenti” né alla discrezionalità del “solo” dirigente. Occorre una procedura che garantisca sia chi chiede sia chi accoglie. E' positivo che nell'ultima versione della legge si parli di curriculum e di “colloquio” con i candidati potenziali.
Ora il meccanismo appare alquanto complesso: un dirigente sceglie dall'albo: quanti docenti? Quando? Con quale ordine di chiamata? Come si apprezza il curriculum dei candidati? Come si svolge il colloquio? Che fare in caso di diniego del candidato? Come incentivare la scelta verso le scuole di frontiera? Ammettiamo che il sistema valorizzi i docenti migliori (o meglio, quelli che godono di una buona reputazione), essi potranno pure condizionare i presidi richiedenti (infatti potranno rifiutare o optare tra più chiamate). Già oggi è un po' così: se ci si sposta, si va verso i “licei” prestigiosi. Ma resta il nodo delle scuole “difficili” che avrebbero bisogno degli insegnanti migliori (bisogna dunque mettere dei forti incentivi). Insomma, i meccanismi applicativi sono tutti da studiare (e tra l’altro sono spostati in avanti negli anni e riguarderanno un piccolo numero di docenti neo-assunti o in mobilità). C’è tutto il tempo di studiare un meccanismo applicativo che contemperi le diverse esigenze e garantisca dignità e sicurezza a tutti.
Intanto, è tutto da esplorare il portato del comma 79 in cui l'individuazione dei docenti avviene “anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi”, perché potrebbe spostare il baricentro del nuovo sistema verso gli insegnanti, cui spetterebbe l'iniziativa e la responsabilità della propria mobilità.
comma 18. Il dirigente scolastico individua il personale da assegnare ai posti, dell'organico dell'autonomia, con le modalità di cui ai commi da 79 a 83.
comma 80. Il dirigente scolastico formula la proposta di incarico in coerenza con il piano dell'offerta formativa. L'incarico ha durata triennale ed è rinnovato purché in coerenza con il piano dell'offerta formativa. Sono valorizzati il curriculum, le esperienze e le competenze professionali e possono essere svolti colloqui. La trasparenza e la pubblicità dei criteri adottati, degli incarichi conferiti e dei curricula dei docenti. sono assicurate attraverso la pubblicazione nel sito internet dell'istituzione scolastica.
Fare squadra: lo staff
Che il dirigente scolastico non sia un “uomo solo al comando” lo si evince anche dalla conferma di una articolazione della docenza in una pluralità di figure. Il 10% del personale potrà essere investito di funzioni di collaborazione alla struttura organizzativa e didattica della scuola. Semmai ci si poteva aspettare una migliore definizione legislativa del problema, visto che da oltre 15 anni (dall'avvio dell'autonomia) le scuole si sono cimentate nella realizzazione di modelli organizzativi basati sulla presenza di figure intermedie, che presidiano snodi vitali dell'azione della scuola (collaboratori, funzioni strumentali, referenti di progetto, coordinatori di dipartimenti e gruppi di lavoro). Il problema non è solo la titolarità della scelta (che ora spetta esplicitamente al dirigente), ma la padronanza di effettive competenze in chi si candida allo svolgimento di tali funzioni. Ed è allarmante che tutto debba avvenire senza un sicuro investimento finanziario. Insomma, ci sarà molto da lavorare in fase di attuazione, se si vuole favorire l'effettiva realizzazione dell'autonomia, che passa anche di qui.
comma 83. Il dirigente scolastico può individuare nell'ambito dell'organico dell'autonomia fino al 10 per cento di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell'istituzione scolastica. Dall'attuazione delle disposizioni del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il Merito e la valutazione dei docenti
Anche la gestione del merito sarà un banco di prova del ruolo che si intende attribuire al dirigente scolastico. Anche in questo caso, come per quasi tutti i commi precedenti, vanno soppesate con molta attenzione le novità introdotte nella versione definitiva: tre paiono i principi innovativi. Intanto viene meglio regolamentata la presenza di un comitato di valutazione, con la presenza maggioritaria dei docenti interni (ma con l'apporto anche di genitori e studenti, che però non partecipano alla “valutazione” per la conferma in ruolo dei docenti: è un indizio...). Il comitato contestualizza i criteri generali per la valutazione e la valorizzazione dei docenti. Non ci sono vincoli e dunque si aprono molte soluzioni. Noi preferiremmo quelle che cercano di incentivare tutti i docenti a migliorare i loro standard professionali, attraverso la definizione di impegni di sviluppo e crescita (formazione in servizio, documentazione della didattica e peer review in classe, impegni organizzativi e responsabilità) che poi dovranno essere verificati e validati dal comitato di valutazione, guidato dal dirigente. Autovalutazione e successiva validazione sembrano principi condivisi, visto anche il loro gradimento nell’ambito del sistema di valutazione delle scuole (DPR 80/2013). Il testo della legge individua alcuni indicatori a maglie larghe che fanno riferimento alla cura della didattica (in chiave innovativa), agli impegni organizzativi, alla documentazione delle buone pratiche, alla ricerca e alla formazione.
Ma, soprattutto, si apre uno spazio sperimentale: nei prossimi tre anni le scuole potranno mettere alla prova diversi tipi di criteri (certamente con l’impulso del dirigente, che ha a disposizione anche una piccola ma significativa leva finanziaria: il fondo per il merito) che poi saranno vagliati a livello nazionale, anche attraverso il confronto con le organizzazioni sindacali e professionali. Molto dipenderà dalle scelte autonome delle scuole e dalla cultura della valutazione che ogni scuola sarà in grado di esprimere.
Questo è in generale lo “spirito della legge”, molto liberal (anzi a tratti liberista): poche regole e molta autodeterminazione a livello locale (con qualche ripristino di sistemi di controllo esterno, vedi il “rilancio degli ispettori”). La parola, dunque, ora torna alla scuola.
comma 127. Il dirigente scolastico, sulla base dei criteri individuati dal comitato per la valutazione dei docenti, istituito ai sensi dell'articolo 11 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come sostituito dal comma 129 dal presente articolo, assegna annualmente al personale docente una somma del fondo di cui al comma 126 sulla base di motivata valutazione.
Comma 129 – punto 3(...). Il comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docenti sulla base:
a) della qualità dell'insegnamento e del contributo al miglioramento dell'istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;
b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni è dell'innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;
c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.
Comma 130. Al termine del triennio 2016-2018, gli Uffici scolastici regionali inviano al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca una relazione sui criteri adottati dalle istituzioni scolastiche per il riconoscimento del merito dei docenti di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dal comma 129 del presente articolo. Sulla base delle relazioni ricevute, un apposito Comitato tecnico scientifico nominato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, previo confronto con le parti sociali e le rappresentanze professionali, predispone le linee guida per la valutazione del merito dei docenti a livello nazionale. Tali linee guida sono riviste periodicamente, su indicazione del Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca sulla base delle evidenze che emergono dalle relazioni degli Uffici scolastici regionali.
[1] Mi fa specie leggere sui quotidiani sportivi che per l'acquisto di un bravo giocatore come l'energetico Pogba, in forze alla Juventus, una grande squadra come il Barcellona (che sponsorizza no profit l'Unicef!) sarebbe disponibile a sborsare 80 milioni di euro. Facevo appunto il confronto con i 40 milioni annui stanziati nella nuova legge per rendere obbligatoria la formazione di tutti gli insegnanti italiani: due anni di formazione assicurati da un solo calciatore. Follie d'estate!