Anno di formazione: una grande opportunità per le nuove leve
La legge 107/2015 prevede una diversa e più incisiva configurazione del periodo di prova e di formazione del personale docente ed educativo neoassunto. Il Miur ha emanato il decreto che regolamenta il periodo di prova, individuando obiettivi, attività formative, modalità e criteri per la valutazione. Nel nostro servizio redazionale il punto sulle nuove disposizioni, alla luce del DM 27 ottobre 2015 n. 850. Di Mariella Spinosi
Un DM di buon auspicio e una circolare chiara
Qualsiasi neo lavoratore ha il diritto di “essere messo alla prova” ma con il sostegno di persone che lo assistano e lo aiutino durante la prima fase di inserimento nel mondo del lavoro. Per un insegnante questa fase è ancora più importante, considerata la peculiarità dei soggetti con cui interagisce. Ne consegue che fin dal primo giorno di inserimento nel nuovo ambiente di lavoro il docente deve avere un quadro esatto del percorso formativo da seguire.
Negli ultimi anni il modello formativo (che risale al 2001) era diventato una routine, a volte inconsistente, altre volte solo pesante. Dal momento che le operazioni di avvio venivano generalmente impartite dal Miur non prima del mese di aprile, “l’anno di formazione” si era trasformato, di fatto, in un “mese di formazione”.
Ora ci sono alcuni segnali importanti.
Il primo è che la legge 107/2015 dedica alla “formazione in ingresso e periodo di prova” ben 6 commi (115-120) con una particolare attenzione:
- alle attività formative. Si dice infatti: “Con decreto MIUR sono individuati gli obiettivi, le modalità di valutazione del grado di raggiungimento degli stessi, le attività formative e i criteri per la valutazione del personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova”; [comma 118]
- all’accompagnamento attraverso la presenza attiva di un insegnante esperto“… al quale sono affidate dal dirigente scolastico le funzioni di tutor”; [comma 117]
- alla valutazione: “Il personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova è sottoposto a valutazione da parte del dirigente scolastico, sentito il comitato per la valutazione istituito” [comma 117]. Ma si rivedono contestualmente i criteri di valutazione.
- alle competenze necessarie per essere un buon insegnante. Infatti: “In caso di valutazione negativa del periodo di formazione e di prova, il personale docente ed educativo è sottoposto ad un secondo periodo di formazione e di prova, non rinnovabile”[comma 119].
Il secondo segnale importante ce lo dà l’amministrazione stessa:
- con il D.M 27 ottobre 2015 n. 850, che per la prima volta, in sintonia con i tempi della scuola, fornisce alle scuole e al territorio gli strumenti necessari per agire;
- con la circolare 5 novembre 2015 prot. n. 36167 che, in maniera estremamente chiara, sottolinea i passaggi significativi mettendo bene in evidenza gli impegni e le responsabilità di tutti i soggetti coinvolti.
Ma c’è anche un terzo segnale, che è il più significativo sul piano della cultura professionale: è l’inversione di tendenza rispetto alle azioni routinarie che avevano preso il sopravvento negli ultimi anni (molti incontri frontali ed esercitazioni affrettate sul sito dell’Indire). Ora si propongono modalità molto più articolate ed efficaci che, a dire il vero, erano già state in qualche modo messe alla prova nell’anno scolastico 2014-2015 con 28.000 neo-docenti (CM27 febbraio 2015, 6768).
Ora la questione si fa ancora più complessa dal momento che la “Buona scuola” prevede l’inserimento nell’anno scolastico 2015-2016, in una unica soluzione, di un numero assai più elevato di insegnanti (circa 100.000), di età media intorno ai 42 anni, provenienti da situazioni molto diverse, bisognosi, quindi, di interventi più attenti e personalizzati.
Il legislatore ha deciso, giustamente, di modificare il vecchio modello e, sulla scia dell’esperienza già messa alla prova, di realizzare azioni più articolate destinate ad avere una maggiore efficacia.
L’accoglienza e il tutor
Uno degli elementi di criticità del modello previgente (oltre alla concentrazione temporale nell’ultimo mese) era anche lo scollamento tra i saperi, su cui i neo assunti erano chiamati a riflettere, e la realtà con cui ogni giorno essi erano costretti a fare i conti. Su questo punto le nuove indicazioni enfatizzano molto l’idea di “accoglienza” nella “comunità professionale”: un modo naturale per “l’induzione alla professione”. I neo docenti hanno bisogno di cura, di vicinanza, di accompagnamento. Fin dall’inizio dell’anno scolastico essi devono avere un punto di riferimento sicuro. A questo bisogno risponde il D.M. 27/10/2015, n.850 (art. 12) che “designa uno o più docenti con il compito di svolgere le funzioni di tutor”.
Tale compito può tradursi in sollecitazioni volte a
- far crescere la motivazione
- costruire un forte collegamento professionale
- incoraggiare il confronto
- aiutare a mettersi in discussione (review) anche attraverso l’auto osservazione e la riflessione cognitiva (debriefing).
Il docente tutor dovrà assumere un ruolo significativo non solo nella fase finale del periodo di prova, quando dovrà rilasciare parere motivato al dirigente scolastico circa le caratteristiche dell’azione professionale del docente lui “affidato”, ma soprattutto nel corso dell’intero anno scolastico, quando dovrà esplicare una importante funzione di accoglienza, accompagnamento, tutoraggio e supervisione professionale.
Per facilitare tale rapporto sarà necessario un raccordo a priori a livello di Istituto, utilizzando checklist con indicatori significativi sulla qualità dell’azione didattica (analisi di contesto, strategie efficaci, gestione della classe, sostegno personalizzato, uso delle tecnologie didattiche, ecc.). Si potrebbero calendarizzare alcuni incontri, anche a carattere seminariale, per condividere l’idea di cura e sviluppo professionale, per costituire un clima positivo e, soprattutto, per far percepire la vicinanza dell’istituzione alla quotidianità del fare scuola. Ogni istituzione scolastica, pertanto, dovrebbe prevedere e poi inserire nel piano dell’offerta formativa azioni, tempi e strategie dedicate.
Ma anche a livello regionale [provinciale, territoriale] è fondamentale che ci sia qualche incontro propedeutico dedicato all’accoglienza e alla presentazione del piano formativo in maniera tale che tutte le scuole si sentano parte della stessa comunità professionale.
L’osservazione tra pari (articolo 9) è tra i punti innovativi del DM 850/2015. Finalizzato al miglioramento delle pratiche didattiche. La peer review prevede:
- un’attività da svolgersi in classe, sia dal docente neo-assunto sia dal tutor, in una logica di reciprocità, che permette di riflettere consapevolmente sugli aspetti salienti dell’azione di insegnamento: modalità di conduzione delle attività e delle lezioni;
- un sostegno alle motivazioni degli allievi;
- la costruzione di climi positivi e motivanti;
- le modalità di verifica formativa degli apprendimenti.
Ovviamente l’attività osservativa non si può improvvisare, è soggetta ad una attenta programmazione (step by step). Le sequenze di osservazione vanno confrontate, condivise, rielaborate e devono costituire un aspetto significativo di tutto il processo formativo del neoassunto. Il DM suddetto assegna a tali attività almeno 12 ore. Si presuppone che anche il dirigente scolastico possa partecipare all’osservazione in classe, programmandola all’interno di un percorso progettuale condiviso, considerando che tra i suoi compiti c’è anche quello di predisporre, insieme allo stesso docente neo assunto, il bilancio di competenze (art. 5).
Ma chi è il tutor?
Ce lo spiega molto bene l’articolo 12 del DM 850/2015. In passato la nomina del tutor per il dirigente scolastico rappresentava un impegno secondario, spesso casuale, qualche volta anche dimenticato. L’insegnante cui veniva assegnato il compito di assistere il neo assunto agiva quasi sempre in maniera autonoma, sia rispetto alla tipologia di intervento sia rispetto al tempo da dedicare al collega. Né si prevedevano incentivi economici né altre forme di riconoscimento.
Nell’articolo 12 del DM citato si ricordano invece tutti gli aspetti che vanno a definire tale figura in maniera organica e non casuale. Essi sono:
- i tempi di nomina (all’inizio dell’anno scolastico, comma 1);
- le regole essenziali (un tutor può seguire al massimo 3 neo assunti, deve appartenere alla medesima classe di concorso o in possesso della relativa abilitazione o classe affine…, comma 2);
- i titoli per la scelta (dottorato di ricerca, master, perfezionamento, competenze linguistiche ecc – il riferimento è il DM 11 novembre 2011 relativo al TFA, comma 3);
- le competenze professionali(competenze culturali, comprovate esperienze didattiche, attitudine a svolgere funzioni di tutoraggio, counseling, supervisione professionale, comma 3);
- i compiti che sono chiamati a svolgere (accoglie il neo-assunto nella comunità professionale, favorisce la sua partecipazione ai diversi momenti della vita collegiale della scuola ed esercita ogni utile forma di ascolto, consulenza e collaborazione per migliorare la qualità e l’efficacia dell’insegnamento. Cfr sopra, comma 4);
- i possibili riconoscimenti (compenso economico – MOF; attestazione da inserire nel curriculum professionale; possibile criterio per l’assegnazione del bonus).
I contenuti professionali
In passato i contenuti teorici erano ripresentati attraverso alcune lezioni formali e andavano a confluire nella cd “tesina”, oggetto di discussione al comitato di valutazione. Una scelta che lungi dall’essere strumento di riflessione sul fare scuola, rappresentava generalmente una pesante incombenza burocratica.
Nel nuovo modello (seppure con lo sguardo sempre rivolto all’idea di riflessività del docente, in questo caso aiutato dal tutor) c’è anche una particolare attenzione ad alcune tematiche trasversali da approfondire attraverso incontri laboratori a livello territoriali. L’articolo 8 del DM 850/2015 fa infatti riferimento ad otto aree: nuove risorse digitali e loro impatto sulla didattica; gestione della classe e problematiche relazionali; valutazione didattica e di sistema (autovalutazione e miglioramento); bisogni educativi speciali; contrasto alla dispersione scolastica; inclusione sociale e dinamiche interculturali; orientamento e alternanza scuola-lavoro; buone pratiche di didattiche disciplinari. Agli incontri laboratoriali vanno dedicate almeno 12 ore.
È utile fare molto attenzione alla selezione degli argomenti che verranno rilanciati sul territorio e alle scelte degli stessi docenti: ovviamente dovranno essere in sintonia con i reali bisogni e domande formative di ognuno. L’opzione da evitare rigorosamente è quella di spalmare nelle 12 ore un numero elevato di argomenti: una scelta che impedirebbe una qualsiasi azione di approfondimento e farebbe, soprattutto, correre il rischio di trasformare i laboratori (che non sono facili da realizzare) in semplici lezioni frontali (di dubbia utilità ed efficacia formativa).
Il Bilancio di competenze
Per la prima volta si sente parlare in maniera operativa di “Bilancio di competenze”. Il termine fa riferimento ad un approccio metodologico che ha origine nell’area francofona e che costituisce un modello di analisi che va oltre la verifica delle qualificazioni formali. Il termine “bilancio” vuol dire infatti valutazione critica di qualcosa, tenendo conto degli aspetti positivi e negativi; le “competenze” (di cui al bilancio) sono, ovviamente, quelle di natura professionali. È un percorso, quindi, orientativo che serve a realizzare scelte e/o cambiamenti rispetto alla propria vita lavorativa. Si tratta di valorizzare le esperienze personali e professionali; di enfatizzare ciò che si conosce e si sa fare; di comprendere dove si possono trasferire le proprie competenze e abilità; di utilizzare meglio le proprie potenzialità.
L’art. 5 del DM 850/2015 ci dice che il bilancio di competenze va “predisposto entro il secondo mese dalla presa di servizio” e che esso “consente di compiere una analisi critica delle competenze possedute, di delineare i punti da potenziare e di elaborare un progetto di formazione in servizio coerente con la diagnosi compiuta”. Il dirigente scolastico e il docente neo-assunto, con il contributo del docente tutor e, soprattutto, tenendo conto dei bisogni della scuola, devono insieme stabilire, con un apposito patto, quali obiettivi (di natura culturale, disciplinare, didattico-metodologica e relazionale) devono essere perseguiti e raggiunti dal docente neoassunto, attraverso quali attività formative e con quali risorse.
Con tutta probabilità, molti si chiederanno a quale “natura” va ascritto il “patto formativo” e se verrà messo a disposizione un format nazionale. Il DM non lascia intuire una natura giuridica, a noi piace immaginare che un patto formativo serva a rafforzare la consapevolezza e la responsabilità della funzione docente. È una azione riflessiva condivisa che avrà la sua piena concretizzazione nel portfolio
Il Portfolio
L’art. 11 del DM citato prevede, infatti, che nel corso del periodo di formazione il docente neo-assunto curerà la predisposizione di un proprio portfolio professionale, in formato digitale, che dovrà contenere: uno spazio per la descrizione del proprio curriculum professionale; l’elaborazione di un bilancio di competenze, all’inizio del percorso formativo; la documentazione di fasi significative della progettazione didattica, delle attività didattiche svolte, delle azioni di verifica intraprese; la realizzazione di un bilancio conclusivo e la previsione di un piano di sviluppo professionale.
Ci sembra che questo strumento possa veramente assumere un significato ad alta valenza formativa per la crescita professionale permanente di ogni insegnante.
È il portfolio che permette una documentazione dinamica della propria crescita, che aiuta i docenti ad acquisire una forte consapevolezza dei momenti significativi delle azioni didattiche, che aiuta a ricostruire incontri importanti, eventi, ricerche e risultati innovativi, ma anche a riutilizzare consapevolmente “le buone pratiche”, a mettersi in relazione permanente con i saperi degli studenti aiutandoli a costruire saperi più raffinati e condivisi dalla comunità professionale.
Il portfolio consente di poter elaborare un bilancio critico delle proprie competenze valutando anche la coerenza tra le proprie idee sul fare scuola e le pratiche didattiche che, di fatto, si realizzano in classe.
E la piattaforma INDIRE?
Il nuovo modello formativo ha il merito di trasformare la tradizionale piattaforma Indire (25 ore autonome solo on line) in un percorso centrato su un progetto formativo più completo anche se più complesso, dove la funzione originaria della piattaforma cambia natura: ora è di supporto soprattutto alla riflessione professionale del docente neo assunto.
L’articolo 10 del DM 850/2015 stabilisce che la struttura tecnica dell’INDIRE coordina le attività per la realizzazione ed aggiornamento della piattaforma digitale (qui si prevede una maggiore condivisione e ascolto delle istanze delle scuole rispetto al passato) con l’obiettivo preciso di supportare i docenti neoassunti durante tutto il periodo di formazione. Ciò implica, però, che la piattaforma dovrebbe essere fruibile già ad inizio anno scolastico (e non negli ultimi due mesi di scuola, come nel passato).
Al percorso di riflessione on line sono assegnate 20 ore. La circolare 5 novembre 2015 prot. n. 36167 ci indica, nell’allegato 1, l’articolazione in 14 per la formazione on line nel corso di tutto l’anno; in3 ore per il bilancio delle competenze iniziali; in 3 ore per il bilancio di competenze finali.
La formazione on line (14 ore), precisa la circolare, deve:
- accompagnare il percorso dei neoassunti;
- consentire loro di elaborare un proprio portfolio professionale;
- rispondere a questionari per il monitoraggio delle diverse fasi del percorso formativo;
- consultare materiali di studio, risorse didattiche e siti web dedicati.
Tutto ciò diventa basilare per stimolare l’analisi e la riflessione sul proprio percorso formativo al fine di migliorare la capacità di progettazione, di realizzazione e di valutazione delle attività didattiche.
Con un certo utile puntiglio nell’allegato 1 si precisa anche il senso delle ore on line dedicate al portofio. Le prime tre hanno lo scopo di aiutare il docente nel tracciare un bilancio di competenze in forma di autovalutazione (che andrà poi a confluire nel patto per lo sviluppo professionale),nel delineare i punti da potenziare, nell’elaborare un personale progetto di formazione utile al proprio sviluppo professionale.
Le tre ore finali sono riservate a tracciare un bilancio di competenze in forma di autovalutazione delineando contestualmente i miglioramenti e i punti che restano da potenziare
Ci piace immaginare che l’Indire possa rispondere con prontezza ed efficienza ai nuovi compiti assegnati, e che non si perda un’opportunità preziosa per contribuire a potenziare la professionalità docente: primo obiettivo strategico per migliorare la scuola italiana e quindi, gli esiti formativi degli studenti.
Mariella Spinosi