Circolare P.C.M. - P.A. 02.04.2020, n. 2
Misure recate dal decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, recante "Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori ed imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid 19" - Circolare esplicativa.
1. Premessa
Come noto, l'evolversi della situazione emergenziale - in considerazione della straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi della diffusione del virus COVID-19 - ha condotto all'adozione di numerosi interventi normativi, sia di rango primario che secondario.
In particolare, il decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 (c.d. decreto-legge "Cura Italia"), attualmente in fase di conversione, - all'interno di un più ampio contesto di potenziamento del Servizio sanitario nazionale, della Protezione civile e della sicurezza pubblica, nonché di individuazione di misure a sostegno delle famiglie e delle imprese - prevede una serie di misure specificamente rivolte al lavoro pubblico e a quello privato.
Con la presente circolare - pur nella considerazione che l'emergenza è ancora in atto e che il quadro normativo è in costante aggiornamento - si intendono fornire, allo stato, orientamenti applicativi alle amministrazioni, con riferimento alle norme che interessano il lavoro pubblico, per chiarirne, nell'ambito della funzione di indirizzo e coordinamento, la portata ed assicurare una omogenea e corretta applicazione delle stesse in tutti gli uffici. Dal punto di vista metodologico si concentra l'attenzione sulla disposizione di cui all'articolo 87 del citato decreto-legge n. 18 del 2020
- norma cardine e di portata generale in materia di pubblico impiego, nei termini che verranno in seguito evidenziati - per poi procedere all'analisi delle ulteriori disposizioni che, affrontando fattispecie di portata più specifica e limitata, rappresentano un corollario della citata norma.
2. Le misure dell'articolo 87 del d.l. 18/2020 in materia di prestazione lavorativa
La norma recata dall'articolo 87 del citato decreto rappresenta lo strumento cardine attraverso il quale il legislatore, in un'ottica di sistema, ha inteso regolare la modalità di svolgimento della prestazione lavorativa all'interno degli uffici pubblici e costituisce la cornice nella quale devono essere iscritte le ulteriori disposizioni che - all'interno del citato decreto - affrontano istituti applicabili al personale pubblico.
In particolare - sviluppando e riconducendo ad una cornice regolativa di rango primario l'indicazione già presente nella direttiva n. 2/2020 del Ministro della pubblica amministrazione (d'ora in poi "direttiva n. 2/2020") - si stabilisce che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile costituisce la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni.
Considerato che primario obiettivo della disposizione è quello di ridurre la presenza dei dipendenti pubblici negli uffici e di evitare il loro spostamento, le amministrazioni sono chiamate ad uno sforzo organizzativo e gestionale, volto a individuare ogni idoneo strumento per superare eventuali ostacoli rispetto al pieno utilizzo di tale modalità lavorativa. Anche situazioni lavorative che - in un regime ordinario - potrebbero presentare aspetti problematici, in termini di sostenibilità organizzativa, per il ricorso al lavoro agile devono essere affrontate dalle amministrazioni nell'ottica sopra evidenziata.
In particolare, l'articolo 87 prevede che le pubbliche amministrazioni:
- limitano la presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche in ragione della gestione dell'emergenza;
- prescindono dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.
La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall'amministrazione e, in tali casi, l'articolo 18, comma 2, della legge 23 maggio 2017, n. 81 non trova applicazione (comma 2).
La ratio del legislatore è quella di offrire alle amministrazioni un ventaglio di strumenti - ferie pregresse[1], congedo, banca ore, rotazione, nel rispetto della contrattazione collettiva, e altri analoghi istituti, ove previsti dalla contrattazione medesima - modulabili, a seconda delle necessità organizzative proprie di ciascun ufficio, e riferibili all'intero assetto organizzativo e non al singolo dipendente.
Emerge dal quadro normativo un evidente favor verso l'attivazione quanto più possibile estesa del lavoro agile, fermo restando il ricorso agli istituti alternativi che le pubbliche amministrazioni possono applicare qualora non vi siano le condizioni per il ricorso al lavoro agile.
Dopo aver valutato la praticabilità dei predetti istituti, le amministrazioni possono motivatamente esentare il personale dipendente dal servizio, fermo restando che il periodo di esenzione dal servizio costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge e che l'amministrazione non corrisponde solo l'indennità sostitutiva di mensa, ove prevista. Tale periodo non è computabile nel limite di cui all'articolo 37, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
Secondo la disciplina introdotta, gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonché le autorità amministrative indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale per le società e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, ciascuno nell'ambito della propria autonomia, adeguano il proprio ordinamento ai principi introdotti dall'articolo 87 (comma 4).
A fronte del disposto normativo occorre evidenziare che, nell'attuale fase di emergenza - come anche rappresentato nella citata direttiva n. 2/2020 - le pubbliche amministrazioni, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, svolgono le attività strettamente funzionali alla gestione dell'emergenza e le attività indifferibili con riferimento sia all'utenza interna (a titolo esemplificativo: pagamento stipendi, attività logistiche necessarie per l'apertura e la funzionalità dei locali), sia all'utenza esterna.
La presenza del personale negli uffici deve essere comunque limitata ai soli casi in cui la presenza fisica sia indispensabile per lo svolgimento delle predette attività, adottando forme di rotazione dei dipendenti per garantire un contingente minimo di personale da porre a presidio di ciascun ufficio.
Ciò non significa che - qualora una PA non individui le attività indifferibili da svolgere in presenza - il lavoratore sia automaticamente autorizzato a non presentarsi al lavoro. Ciascuna PA è responsabile della gestione del proprio personale e dell'applicazione delle misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COV ID-19, tra cui l'obbligo di individuazione delle attività indifferibili e delle attività strettamente funzionali alla gestione dell'emergenza. In ossequio a tale obbligo le amministrazioni devono individuare, sia pur con comunicazione semplificata, le modalità con cui i dipendenti dovranno rendere la prestazione lavorativa e da ciò discende che il singolo dipendente non può ritenersi automaticamente autorizzato a non presentarsi al lavoro.
Considerato che il datore di lavoro è parte attiva nel potenziare il ricorso al lavoro agile, non è necessario che il dipendente inoltri specifica richiesta in tal senso. Per garantire la massima applicazione dello smart working, le PA prevedono modalità semplificate e temporanee di accesso alla misura, escludendo appesantimenti amministrativi e favorendo la celerità dell'autorizzazione (ad. es. ricorso a scambio di mail con il dipendente per il riconoscimento dello smart working piuttosto che predisposizione di moduli da compilare o adozione di provvedimenti amministrativi).
Nell'ambito della propria autonomia, ogni amministrazione può comunque disporre la presenza in sede, anche "a rotazione", di personale che svolge la prestazione lavorativa in modalità ordinariamente agile, ove si determinino specifiche situazioni che rendano indispensabile tale presenza.
Come precisato nella direttiva n. 2/2020 si evidenzia che le attività di ricevimento del pubblico o di erogazione diretta dei servizi al pubblico, ove indifferibili, sono prioritariamente garantite con modalità telematica o comunque con modalità tali da escludere o limitare la presenza fisica negli uffici (ad es. appuntamento telefonico o assistenza virtuale). Nei casi in cui il servizio non possa essere reso con le predette modalità, gli accessi negli uffici devono essere scaglionati, anche mediante prenotazioni di appuntamenti, assicurando che sia mantenuta un'adeguata distanza (c.d. distanza droplet) tra gli operatori pubblici e l'utenza, nonché tra gli utenti.
In ogni caso, come precisato nella più volte richiamata direttiva n. 2/2020, le amministrazioni limitano gli spostamenti del personale con incarichi ad interim o a scavalco con riguardo ad uffici collocati in sedi territoriali differenti, individuando un'unica sede per lo svolgimento delle attività di competenza del medesimo personale.
È importante precisare che l'individuazione delle attività indifferibili non necessariamente presuppone che le stesse siano svolte in presenza fisica sul luogo di lavoro. Al contrario, le attività indifferibili possono essere svolte sia nella sede di lavoro - anche solo per alcune giornate, nei casi in cui il dipendente faccia parte del contingente minimo posto a presidio dell'ufficio - sia con modalità agile.
Come sopra evidenziato - nel ribadire che la misura rappresenta una priorità da garantire anche al fine di tutelare la salute del personale dipendente - la disciplina normativa prevede una serie di strumenti e meccanismi di flessibilità che non devono essere vanificati dalle amministrazioni con appesantimenti amministrativi e burocratici. In tale ottica, le disposizioni normative prevedono che, per il ricorso al lavoro agile nell'attuale fase di emergenza sanitaria, le amministrazioni "prescindano dagli accordi individuali e dagli obblighi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81". In sintesi, è dunque ammessa la deroga all'accordo individuale (articolo 18 l. 81/2017), all'informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (articolo 22 l. 81/2017) e alle comunicazioni relative all'assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali (articolo 23 l. 81/2017).
Non è escluso che le amministrazioni, nell'esercizio dei propri poteri datoriali, prevedano una reportistica giornaliera sugli obiettivi raggiunti dal lavoratore agile. E' comunque rimessa all'autonomia di ciascuna amministrazione la scelta di ricorrere a schede o documenti di sintesi degli obiettivi raggiunti dal lavoratore agile con riferimento a periodi temporali più estesi.
Si ritiene utile precisare che - nell'ipotesi di assunzione di nuovo personale - il periodo di prova non è incompatibile con la modalità del lavoro agile. Ai fini del compimento del periodo di prova, infatti, si tiene conto del servizio effettivamente prestato. Il principio è desumibile anche dalle previsioni dell'articolo 14 della legge n. 124 del 2015 secondo cui le amministrazioni garantiscono che i dipendenti in smart working non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera.
È altresì possibile - anzi è auspicabile che le amministrazioni si attivino in tal senso - promuovere percorsi informativi e formativi in modalità agile che non escludano i lavoratori dal contesto lavorativo e dai processi di gestione dell'emergenza, soprattutto con riferimento a figure professionali la cui attività potrebbe essere difficilmente esercitata in modalità agile e per le quali l'attuale situazione potrebbe costituire un momento utile di qualificazione e aggiornamento professionale.
Le amministrazioni sono chiamate, nel rispetto della disciplina normativa e contrattuale vigente, a definire gli aspetti di tipo organizzativo e i profili attinenti al rapporto di lavoro, tra cui gli eventuali riflessi sull'attribuzione del buono pasto, previo confronto sotto tale aspetto con le organizzazioni sindacali. Con particolare riferimento alla tematica dei buoni pasto, si puntualizza, quindi, che il personale in smart working non ha un automatico diritto al buono pasto e che ciascuna PA assume le determinazioni di competenza in materia, previo confronto con le organizzazioni sindacali.
Si sottolinea che - fermo restando il divieto di discriminazione - istituti quali prestazioni eccedenti l'orario settimanale che diano luogo a riposi compensativi, prestazioni di lavoro straordinario, prestazioni di lavoro in turno notturno, festivo o feriale non lavorativo che determinino maggiorazioni retributive, brevi permessi o altri istituti che comportino la riduzione dell'orario giornaliero di lavoro appaiono difficilmente compatibili con la strutturazione del lavoro agile quale ordinaria modalità delle prestazione lavorativa. Si ritiene pertanto conforme a normativa che una PA non riconosca a chi si trova in modalità agile, ad esempio, prestazioni di lavoro straordinario.
Con riguardo all'istituto dell'esenzione di cui al comma 3, si sottolinea che - solo dopo aver verificato la non praticabilità delle soluzioni alternative individuate dal medesimo comma: lavoro agile, ferie pregresse, congedo, banca ore, rotazione, analoghi istituti - è possibile prevedere, come extrema ratio e pur sempre in casi puntuali, di esentare il personale dipendente, con equiparazione del periodo di esenzione al servizio prestato a tutti gli effetti di legge e, quindi, senza ripercussioni sulla loro retribuzione e senza che l'istituto incida negativamente ai fini della valutazione e dell'erogazione del trattamento accessorio.
La decisione di esentare il personale, oltre ad essere motivata, presuppone comunque una preventiva valutazione delle esigenze di servizio e potrà essere in concreto esercitata solo qualora non determini, con riguardo al particolare ed eccezionale contesto emergenziale in atto, effetti negativi sull'attività che l'amministrazione è chiamata ad espletare.
Il provvedimento di esenzione dovrà, quindi, illustrare, in maniera puntuale, la disamina della situazione in ordine ad ogni dipendente esentato, dando conto del ricorrere dei richiamati presupposti.
A tal fine, con riferimento a strutture complesse quali, ad esempio, i Ministeri, appare opportuno individuare regole omogenee che individuino criteri e modalità per la regolamentazione dell'istituto - da definirsi a cura del capo del personale o altra figura di vertice amministrativo - che possono poi essere oggetto di attuazione da parte delle varie articolazioni organizzative. Nel rappresentare che l'impianto normativo non presuppone che si operi solo su istanza del dipendente interessato, è auspicabile che si adottino provvedimenti celeri e tali da escludere appesantimenti organizzativi.
Da ultimo, si rappresenta che con riferimento ad alcune figure professionali, quali dirigenti e titolari di posizioni organizzative, che - come peraltro sottolineato proprio nella direttiva n. 2/2020 del Ministro della pubblica amministrazione - svolgono una preminente funzione di coordinamento e direzione, appare estremamente difficile ipotizzare il ricorso all'esenzione dal servizio, considerato che le relative attività lavorative appaiono in ogni caso compatibili con lo svolgimento in modalità agile.
Con riguardo al tema delle ferie pregresse, occorre fare riferimento alle ferie maturate e non fruite, nel rispetto della disciplina definita dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro e nell'ambito dell'esercizio delle prerogative datoriali. Sul punto si richiamano, quindi, le disposizioni contenute nei diversi CCNL di comparto che, nella generalità, pongono un limite alla discrezionalità del datore di lavoro, obbligandolo a consentire la fruizione delle ferie - non godute dal lavoratore nell'anno di maturazione per "indifferibili esigenze di servizio"- entro il primo semestre dell'anno successivo. Le predette disposizioni contrattuali, nella loro portata vincolante, assumono dunque una valenza che soddisfa le esigenze di tutela dell'integrità fisica del lavoratore e dello stato di salute, sottesa all'istituto, in maniera ancora più rafforzata rispetto alle previsioni contenute all'articolo 10 del d.lgs. n. 66 del 2003. Giova ricordare che - secondo la stessa Commissione europea (cfr. Comunicazione interpretativa sulla direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione del lavoro) - l'effetto positivo delle ferie si esplica pienamente se esse vengono fruite nell'anno; sicché una contrazione dei termini di differimento rispetto alle previsioni del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, quale quella voluta dalle parti negoziali, non può che risultare maggiormente garantista dei diritti dei lavoratori. Anche l'ARAN, a fugare eventuali dubbi di mancato coordinamento tra la disciplina contrattuale e quella legale (articolo 10 del richiamato d.lgs. n. 66 del 2003) arriva alla conclusione della prevalenza, tra le disposizioni previste dalle due fonti, di quelle di matrice contrattuale (RAL 1051 e 1424.) A tale interpretazione, peraltro costituzionalmente orientata (articolo 36, co. 3, Cost.) si ritiene possa indurre la stessa circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n. 8 del 3 marzo 2005 laddove richiama esplicitamente la possibilità che la contrattazione collettiva possa prevedere un termine massimo di fruizione del periodo di ferie 'minore' di quello individuato dal legislatore.
Alla luce del quadro delineato, si rappresenta che - oltre alle ferie del 2018 o precedenti - la norma deve intendersi riferita anche a quelle del 2019 non ancora fruite. In un contesto caratterizzato dai descritti elementi emergenziali e di eccezionalità, tenuto conto del descritto ruolo preminente del lavoro agile, rientra nei poteri datoriali la possibilità di utilizzare, in una dimensione di sistema e di salvaguardia delle esigenze organizzative, gli strumenti messi a disposizione dal legislatore. Conseguentemente - ferma restando la prioritaria scelta del legislatore, in termini generali, a favore del lavoro agile - si ritiene legittimo che le amministrazioni possano ricorrere all'istituto delle ferie, se del caso a rotazione o intervallate con il lavoro agile, anche in ragione dei picchi di attività. Tale ricostruzione, oltre ad essere in linea con la disciplina della vigente contrattazione collettiva, appare coerente con la situazione emergenziale in essere e funzionale rispetto all'esigenza di assicurare l'attività amministrativa indifferibile.
Non rientrano, invece, nel concetto di ferie pregresse le giornate per le festività soppresse che devono necessariamente essere godute nell'anno di riferimento, pena la non fruibilità delle stesse.
Il comma 5 prevede che "lo svolgimento delle procedure concorsuali per l'accesso al pubblico impiego, ad esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica, sono sospese per sessanta giorni a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto. Resta ferma la conclusione delle procedure per le quali risulti già ultimata la valutazione dei candidati, nonché la possibilità di svolgimento dei procedimenti per il conferimento di incarichi, anche dirigenziali, nelle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1, che si istaurano e si svolgono in via telematica e che si possono concludere anche utilizzando modalità lavorative di cui ai commi che precedono, ivi incluse le procedure relative alle progrssioni di cui all'articolo 22, comma 15, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75".
Per effetto di tale norma, le procedure concorsuali per l'accesso al pubblico impiego sono sospese, a meno che la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica, a prescindere dalla fase della procedura. In altri termini, rileva la modalità della procedura e non lo stato della stessa, con la conseguenza che una procedura concorsuale interamente telematica può essere esperita anche se si trova attualmente nella fase iniziale.
3. Articolo 24 del d.l. 18/2020 - permessi ex lege n. 104 del 1992
Premesso quanto evidenziato in precedenza circa il fondamentale ruolo di sistema della norma recata dall'articolo 87, anche l'articolo 24 del decreto legge in esame appare riconducibile alla ratio di tutelare la salute del personale dipendente e di ridurre al minimo gli spostamenti dei lavoratori.
La norma prevede che i permessi retribuiti a disposizione dei lavoratori che assistono i soggetti disabili in situazione di gravità, stabiliti in 3 giorni al mese (articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992), "sono incrementati di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di marzo ed aprile". Vengono previste, quindi, ulteriori 12 giornate complessive - che si aggiungono a quelle già stabilite dalla normativa vigente - fruibili indifferentemente tra marzo e aprile, compatibilmente con le esigenze organizzative della pubblica amministrazione.
L'incremento dei permessi previsti per alcune categorie di beneficiari[2] segue le regole ordinarie. Questo significa che, se un dipendente assiste più di una persona disabile, come in passato accadeva per i permessi dei 3 giorni, così oggi ha diritto di sommare tanti incrementi quante sono le persone assistite. Quindi, ad esempio, se prima si aveva diritto a 6 giorni di permesso totali al mese per due familiari, adesso si ha diritto a 36 giorni da utilizzare unicamente fra marzo e aprile 2020, benché siffatto budget di giornate risulti oggettivamente non fruibile entro la data di scadenza prevista. Analoghe considerazioni devono svolgersi nell'ipotesi in cui il permesso non sia legato all'assistenza di un congiunto ma a una situazione patologica propria del dipendente.
Non si ritiene, invece, possibile convertire in permesso ex articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 le assenze già effettuate nel mese di marzo 2020 - prima dell'entrata in vigore della norma in esame - utilizzando altri istituti giuridici contrattualmente previsti (congedi ordinari, permessi per motivi personali, ecc..).
In ordine alla possibilità di fruire a ore i citati permessi aggiuntivi si ritiene che tale opzione - pur astrattamente compatibile con il quadro regolativo di riferimento - sia in controtendenza rispetto all'obiettivo prioritario di limitare gli spostamenti delle persone fisiche e non funzionale, considerato che lo smart working rappresenta, nell'attuale fase emergenziale, l'ordinaria modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Sarebbe, pertanto, auspicabile che le Amministrazioni incentivassero, quanto più possibile, l'utilizzo a giornate dell'istituto, anche eventualmente in forma continuativa.
Una limitazione è, infine, contenuta nello stesso articolo 24, al comma 2, dove si prevede che il beneficio di cui al comma 1 possa essere riconosciuto al personale sanitario delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale solo compatibilmente con le esigenze organizzative.
4. Articolo 25 del d.l. 18/2020 - congedi e bonus
L'articolo 25 del decreto reca disposizioni in materia di congedo e indennità per i lavoratori dipendenti del settore pubblico ed introduce una nuova forma di congedo a favore dei genitori (anche affidatari) ulteriore rispetto a quello ordinariamente previsto dall'articolo 32 del decreto legislativo n. 151 del 2001.
Il bisogno urgente di soluzioni da praticare in fase emergenziale al fine di ridurre al minino spostamenti di persone ha condotto alla previsione di un congedo la cui fruizione agisce con retroattività rispetto all'entrata in vigore della norma.
La norma prevede, per i genitori con figli fino a 12 anni di età, il diritto - a decorrere dal 5 marzo e per tutto il periodo di sospensione delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, sancito dal DPCM 4 marzo 2020 - ad un congedo di complessivi 15 giorni, fruibile in modo continuativo o frazionato; per tale istituto viene riconosciuta una indennità pari al 50% della retribuzione. Si tratta, pertanto, di un congedo che può sostituire, anche con effetto retroattivo (a decorrere dal 5 marzo), l'eventuale congedo parentale non retribuito già in godimento. Tale congedo parentale può essere fruito, alternativamente, da entrambi i genitori per un totale di 15 giorni complessivi. La fruizione del congedo in argomento è comunque subordinata alla condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore che risulti già beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa, oppure disoccupato o non lavoratore.
In merito, deve evidenziarsi che - pur essendo rimesse al singolo dipendente le decisioni in ordine alla fruizione del nuovo istituto - deve presumersi che lo stesso avrà una portata applicativa limitata e residuale, tenuto conto della descritta funzione di sistema dell'articolo 87. Inoltre, la vigenza dello stesso è circoscritta al 3 aprile 2020, in quanto - per effetto del DPCM 8 marzo 2020 - è sospesa fino a tale data la frequenza delle scuole di ogni ordine e grado. Ne consegue che l'istituto del congedo si applica a decorrere dal 5 marzo e sino al termine della sospensione delle attività didattiche, ossia - allo stato - sino al prossimo 3 aprile 2020.
Per i dipendenti pubblici le modalità di fruizione dei permessi aggiuntivi sono a cura dell'Amministrazione pubblica per cui lavorano. La domanda non va presentata all'INPS ma alla propria amministrazione pubblica secondo le indicazioni fornite da questa. Ulteriori informazioni relative ai dipendenti pubblici e a questo tipo di permessi sono disponibili sul sito del Dipartimento della funzione pubblica.
Si ritiene che il lavoro agile di un genitore legittimi la fruizione del congedo Covid-19 da parte dell'altro genitore, in considerazione della circostanza che lo smart working non è un diverso tipo di contratto di lavoro, ma solo un modo diverso di svolgere l'attività professionale, con ciò determinando un'incompatibilità con la cura dei figli. Le condizioni legittimanti il permesso escludono solo le previsioni nelle quali l'altro genitore è beneficiario di uno strumento di sostegno al reddito, in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa.
In aggiunta al beneficio di cui sopra, lo stesso articolo 25, al successivo comma 3, prevede che per i lavoratori dipendenti del settore sanitario, pubblico e privato accreditato, appartenenti alla categoria dei medici, degli infermieri, dei tecnici di laboratorio biomedico, dei tecnici di radiologia medica e degli operatori sociosanitari, il bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting per l'assistenza e la sorveglianza dei figli minori fino a 12 anni di età, previsto dall'articolo 23, comma 8, in alternativa alla prestazione di cui al comma 1, è riconosciuto nel limite massimo complessivo di 1.000 euro.
Tale disposizione viene estesa anche al personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico impiegato per le esigenze connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19.
Non è, pertanto, possibile richiedere il bonus se l'altro genitore è disoccupato/non lavoratore o usufruisce di strumenti di sostegno al reddito o è già stato richiesto il Congedo COVID-19.
Il bonus può essere chiesto anche se si usufruisce dei giorni aggiuntivi di permesso retribuito (legge n. 104/1992) o dei congedi parentali prolungati per i genitori di figli con disabilità grave.
5. Articolo 26 del d.l. 18/2020 - ulteriori misure a favore di particolari categorie di dipendenti -
L'articolo 26, comma 2, del decreto stabilisce che: "Fino al 30 aprile ai lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.104, nonché ai lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della medesima legge n. 104 del 1992, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie, è equiparato al ricovero ospedaliero di cui all'articolo 19, comma 1, decreto legge del marzo 2020, n. 9".
Viene, quindi, riconosciuta la possibilità di assentarsi dal lavoro, fino al 30 aprile 2020, alle seguenti categorie di dipendenti privati e pubblici:
- disabili gravi, ai sensi del citato articolo 3, comma 3, della legge n.104/1992;
- Immunodepressi, lavoratori con patologie oncologiche o sottoposti a terapie salvavita, in possesso di idonea certificazione.
In tali casi, l'assenza dal servizio è equiparata al ricovero ospedaliero ai sensi dell'articolo 19, comma 2, del decreto legge 2 marzo 2020 n. 9, attualmente in fase di conversione.
Si segnala che - nonostante la rubrica dell'articolo 26 faccia riferimento esclusivamente ai lavoratori privati - il comma 2 dello stesso è applicabile anche ai lavoratori pubblici.
6. Articolo 39 del d.l. 18/2020 - estensione lavoro agile a soggetti con disabilità grave
Altra misura importante è contenuta nell'articolo 39 in quanto finalizzata a favorire la continuità lavorativa di chi è più debole, in coerenza con il già richiamato articolo 87 che costituisce, come detto, la linea guida alla luce della quale devono essere lette tutte le ulteriori disposizioni che - all'interno del decreto-legge n. 18 del 2020 - affrontano istituti applicabili al personale pubblico.
L'articolo 39 dispone infatti che, fino al 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti con disabilità grave o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità grave, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. La norma, tenuto conto che, nella fase attuale, la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa è il lavoro agile, mira ad estenderne gli effetti anche a quei soggetti per i quali la disabilità assuma il carattere di gravità, avendo la minorazione, singola o plurima, ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo tale da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.
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[1] V. infra
[2] A titolo di esempio: genitori di figli con disabilità grave non ricoverati a tempo pieno, coniuge, parenti e affini entro il 2° grado di persone con disabilità grave (ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti) non ricoverate a tempo pieno, lavoratori con disabilità grave.